12 agosto – Herculi Invicto al Foro Boario

Il 12 Agosto venivano realizzati dei sacrifici a Ercole Invitto sull’Ara Maxima, in uno dei rituali più antichi della religione romana. Il rituale prevedeva due fasi. La prima al mattino, con l’immolazione e il sacrificio delle vittime animali. La seconda avveniva di sera, mediante una processione di torce seguita da un banchetto. I celebranti indossavano delle pelli, forse per imitare Ercole che dopo aver sconfitto il leone di Nemea vestiva con la sua pelle inscalfibile.

Tutte le cerimonie che si svolgevano nell’Ara Maxima di Ercole venivano celebrate graeco ritu: erano officiate da schiavi, ma presiedute dai pretori urbani a capo scoperto e coronato (in origine di pioppo, poi di alloro), persino i partecipanti assistevano col capo inghirlandato, stavano seduti e non sdraiati sui triclini, infine, non veniva separata la carne da offrire al dio, al contrario, veniva tutto diviso e consumato tra i partecipanti al banchetto, senza far uscire nulla fuori dal recinto (gli scarti venivano dati alle fiamme sull’altare). Non esisteva alcuna prescrizione sulla scelta dell’animale da sacrificare a Ercole. Nel sacrificio annuale solitamente veniva immolato un vitello, con una libagione di vino mediante uno skyphos (una coppa) che si credeva fosse stato lasciato proprio da Ercole.

È probabile che in occasione di questa festa i contadini dell’agro romano, per ringraziare Ercole, gli offrissero la decima parte del loro raccolto. Quest’ultima usanza l’avrebbe inaugurata lo stesso Ercole, secondo una tradizione perché egli offrì in sacrificio la decima parte della mandria di Gerione recuperata dopo aver sconfitto Caco (che gliel’aveva rubata); ma secondo un’altra leggenda Ercole aveva liberato i Romani dal pagare la decima agli Etruschi. Secondo Plutarco, offrire la decima parte del raccolto, dei profitti di un impresa o di un bottino di guerra era un vezzo dei più ricchi romani, nel tentativo di compiacere un dio frugale qual era Ercole e tentare la fortuna cercando di aumentare il proprio patrimonio.

Ai rituali di Ercole non potevano presenziare le donne, forse a causa una vendetta al rifiuto della Bona Dea di far bere all’assetato eroe l’acqua della fontana dove si celebravano i suoi misteri, rivolti esclusivamente alle donne. Inoltre, nel recinto dell’Ara Maxima era assolutamente vietato l’accesso ai cani (probabilmente in riferimento al mostro Cerbero e alla morte di Oenus, cugino di Eracle, ucciso a causa di un cane) e alle mosche.

Ercole, nome latino del semidio greco Eracle, figlio di Giove/Zeus e Alcmena (procreato dal dio sotto le sembianze del marito della donna, Anfitrione) è uno degli eroi della mitologia greco-romana più conosciuti. Visse numerose imprese, anche in territorio italico, dove la figura derivata dal pantheon greco finì per soppiantare quella del pantheon etrusco. In quest’ultimo egli era una divinità centrale, protettrice dei commerci, dei mercanti e degli scambi di armenti e di sale.

Certamente un tempio dedicato a Ercole Invitto/Vincitore/Oleario si trovava nel Foro Boario (vicino al Foro Olitorio, dal quale deriva uno degli epiteti del tempio di Ercole), nella parte più bassa della Valle Murcia, dove il fiume che la attraversava finiva nel Tevere formando una zona paludosa chiamata Portus Tiberinus, la quale divenne un importante emporio adibito soprattutto al commercio del sale, probabilmente già in età protostorica. L’edificio sorge come imitazione di un più antico tempio rotondo che sorgeva nella stessa zona, costruito per volere di Publio Cornelio Scipione Emiliano nel 142 a.C., noto anche come aedes rotundam Herculis. Ma la struttura architettonica ha subito chiaramente l’influenza dei modelli greci: la sua forma circolare (sul modello delle tholoi, ossia le sepolture monumentali a cupola del mondo greco), il crepidoma (cioè una scalinata, non l’alto podio tipico dei templi italici), monoptero e costruito in marmo Pentelico (greco). Plinio il Vecchio tramanda che le sue pareti erano decorate dagli affreschi realizzati da Pacuvio, oggi non più visibili, laddove la struttura architettonica, risalente al 120 a.C., è in piedi ancora oggi, cosa che lo rende il più antico edificio in marmo di età romana giunto ai giorni nostri.

Vicino al tempio rotondo si trovava l’Ara Massima di Ercole, nel luogo in cui il mito lo vide sconfiggere il gigante Caco. L’Ara era un conseptum sacellum: un altare circondato da un recinto (come l’Ara Pacis), dove forse sorgeva una statua di Ercole Vittorioso eretta da Evandro. Gli scavi eseguiti nel corso del 1900 sotto la Chiesa di Santa Maria in Cosmedin hanno portato all’identificazione dell’area del santuario di Ercole, grazie all’individuazione, sotto l’abside della chiesa, di una pavimentazione in travertino corrispondente all’altare tardo-repubblicano.

Esistono numerose versioni del mito della fondazione dell’Ara Massima. Secondo una leggenda sarebbe stata creata da Evandro, come segno di riconoscenza a Ercole uscito vincitore dallo scontro col gigante Caco, il quale era il terrore del primitivo insediamento sul Palatino. Una versione del mito indica sempre Evandro come committente dell’Ara, la quale venne edificata dopo la fondazione del primo insediamento sul Palatino e dedicata a tutti gli Dei. Un’altra tradizione racconta invece che l’Ara sarebbe stata costruita da Ercole in onore del padre Giove. Una quarta versione, scritta da Macrobio, attribuisce l’altare ai compagni di Ercole rimasti in Italia (gli Argei). Cassio Emina invece, raccontava che l’altare venne costruito per il culto di Giove, da un certo Recarano o Garano: un forte e bellissimo pastore di origine greca, il vero assassino di Caco (che in questa versione non è un gigante, ma un servo di Evandro che aveva osato rubargli il gregge). Secondo questa leggenda, questo pastore sarebbe stato il primo offerente di un decimo dei suoi animali sull’Ara.

Secondo Dionigi di Alicarnasso, Macrobio e Servio, il greco Evandro, riconoscendo l’arrivo di Ercole profetizzato da sua madre Carmenta, sacrificò un vitello che non aveva mai visto il giogo in onore del semidio. Ma una leggenda indica che fu lo stesso Ercole a insegnare il rituale da eseguire per il sacrificio, non solo al suo ospite Evandro, ma anche a due famiglie patrizie che l’avrebbero poi perpetrato: i Pinarii e i Potitii. Secondo una tradizione, i Pinarii potevano assistere solo alla prima parte del rito, perché la prima volta giunsero in ritardo al banchetto serale, perciò ne vennero esclusi e divennero soltanto i custodi degli oggetti sacri del culto. Per molto tempo, i celebratori dei riti sull’altare furono esclusivamente gli appartenenti alle due sopracitate famiglie, finché Appio Claudio Cieco non stabilì che venisse insegnato anche a servi acquistati col denaro pubblico. Questi ultimi continuarono le celebrazioni per conto dello Stato anche dopo che le due antiche famiglie patrizie si estinsero.

Sull’Ara Maxima era anche uso pronunciare i giuramenti sacri, e compiere sacrifici in ringraziamento dopo aver adempiuto alla promessa.

Herculi Invicto al Foro Boario

Tempio di Ercole Invitto al Foro Boario, Roma (di A. Patti).

Antonietta Patti
Archeologa


BIBLIOGRAFIA

  • Diodoro Siculo, Βιβλιοθήκη Ἱστορική (Biblioteca storica), IV, 21;
  • Dionigi di Alicarnasso, Ῥωμαικὴ ἀρχαιολογία (Antichità Romane) I, 40;
  • Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, 242;
  • A. Ferrari, Dizionario di Mitologia, UTET, Novara 2015;
  • Tito Livio, Ab Urbe Condita, libro I, 7; X, 23; IX, 29, 9;
  • Ambrodio Teodosio Macrobio, Saturnalia, I, 12; III, 6; III 12; V, 21;
  • P. Ovidio Nasone, Fasti, libro I; 543-584;
  • Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, vol. X, 79; XXXV, 19; XXXIV, 33;
  • Plutarco, Moralia, Quaestiones Romanae, 18, 60, 90;
  • Servio Mario Onorato, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros, III, 407; VIII, 183; 203-288;
  • Strabone, Γεωγραφικά (Geografia), V, 3, 3;
  • Marco Terenzio Varrone, De lingua Latina, libro VI, 54;
  • P. Virgilio Marone, Eneide, VIII, 269-282.
Share