13/17 febbraio – Fornacalia

I Fornacalia erano un periodo festivo istituito da Numa Pompilio in onore della dea Fornax, divinizzazione del forno della curia. Il periodo terminava coi Quirinalia, ma non aveva date precise, trattandosi di feriae conceptivae indette dal curio maximus e da un sacrum publicum pro curiis.

Durante i giorni dei Fornacalia, in ogni curia si svolgevano precisi rituali sotto la guida dei curiones (sacerdoti delle curie) ma l’ultimo giorno tutte le curie si riunivano nel Foro Romano, dove i rituali venivano compiuti dal curius maximus.

In questi giorni, nelle curie avveniva il censimento della popolazione attraverso la torrefazione del farro che era stato conservato, e che veniva cotto nei forni delle curie sotto la protezione della dea Fornace, la quale avrebbe evitato che i semi bruciassero durante la tostatura.

Alla dea ogni cittadino offriva la mola salsa, dopo aver bruciato il farro preparato nei pistrina: il luogo della casa dove il seme veniva tostato, macinato e usato per realizzare delle focacce. Sembra che questa modalità fosse simbolica, atta a rappresentare tutto il processo che il seme avrebbe subito dopo la mietitura: la tostatura, la macinazione, la creazione della farina, in un procedimento che in quel momento era esclusivamente religioso.

È probabile che venisse svolto anche un pasto comunitario nella sala comune di ogni curia, su tavole semplici e con suppellettili in terracotta. In queste occasioni veniva sacrificato agli dei della curia, come Giunone Curite, il primo farro tostato utilizzato nelle focacce, con vino e altre primizie.

Il farro è un cereale robusto e resistente che nell’antica Roma poteva essere seminato due volte, una prima volta in autunno (tra Ottobre e Novembre), e se i suoi frutti non fossero stati sufficienti, una seconda volta in primavera (tra Marzo e Aprile). Una semina alla quale erano legati degli auguria chiamati vernisera.

I Fornacalia ricorrevano in un periodo in cui si decideva appunto se fosse il caso di attuare la seconda semina, per la quale i semi erano stati messi da parte alla fine dell’inverno. Quella dei Fornacalia era quindi un periodo sacro nel quale si pregava affinché il raccolto fosse abbondante e non ci fosse bisogno della semina primaverile.

Con la torrefazione si rendeva il farro commestibile, si poteva conservare, e in parte purificare in modo da poterlo utilizzare in alcune cerimonie sacre. Plinio definisce il farro come il più antico cibo degli abitanti del Lazio, ritenuto sacro e quindi protagonista di diverse cerimonie religiose.

Infatti, oltre alla festa dei Fornicalia, il matrimonio veniva effettuato col rito della confarreatio, perché secondo il rituale, le spose portavano a casa dello sposo un pane di farro. Inoltre, col farro venivano realizzati gli adoria: dei doni da offrire agli dei.

Era la farina di farro che, mescolata con acqua o latte, permetteva la produzione della puls, un composto semiliquido nel quale potevano essere inseriti altri ingredienti, come la fava e produrre la puls fabata, utile durante i rituali dei Carnaria a Giugno e dei Feralia a Febbraio.

Già durante i Lemuria il farro veniva offerto agli dei, poco prima della mietitura di Maggio, nel periodo in cui le Vestali coglievano le spighe non ancora mature per preparare la Mola Salsa.

Sepolcro monumentale del fornaio Marco Virgilio Eurisace e sua moglie Atistia, I secolo a.C., Piazza Porta Maggiore, Roma (foto di A. Patti).

Antonietta Patti
Archeologa


BIBLIOGRAFIA

  • Dionigi di Alicarnasso, Ῥωμαικὴ ἀρχαιολογία (Antichità Romane) II, 23; II, 50;
  • A. Ferrari, Dizionario di Mitologia, UTET, Novara 2015;
  • P. Ovidio Nasone, Fasti, libro II;
  • Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, vol. XVIII, 7-8; 83-84;
  • Sesto Pompeo Festo, De verborum significatu, 83; 245; 379;
  • Marco Terenzio Varrone,  De lingua Latina, libro V, 83.
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