16 maggio – Supplicatio Molibus Martis

Supplicatio Molibus Martis

Le Moles Martis erano le divinità a cui erano consacrate le cataste (moles) delle armi vinte ai nemici, durante le campagne militari avvenute nei primi due mesi dell’anno. L’iscrizione CIL X, 8376 riporta proprio una supplicatio in onore di Marte a cui venivano consacrate le moles.

Il 16 Maggio avveniva una supplicatio: una pubblica e solenne invocazione agli dei, accompagnata da preghiere e sacrifici. Questo momento religioso precedeva quello in cui le armi sarebbero state distrutte, il 23 Maggio, in occasione del Tubilustrium, la cui festa forse segnava la fine delle campagne militari di breve durata tipiche dell’epoca arcaica, quando i Romani, più che missioni di guerra, conducevano saccheggi dei centri abitati vicini.

Questo rito rientrava nelle più arcaiche cerimonie del reditus, il ritorno delle truppe, finalizzato a eliminare il potere dalle armi dei nemici. In età storica, l’uso dell’affissione delle armature, degli scudi e delle armi prese ai nemici, era un atto che li dedicava a quegli Dei rappresentati da cataste di armi, probabilmente riprendendo l’iconografia, soprattutto monetaria, del mito di Tarpea*.
Il 16 Maggio, il giorno della
supplicatio alle Moles Martis, era anche quello in cui fu dedicato il tempio di Marte al Circo Flaminio e quello di Marte Ultore nel Foro di Augusto.

*Secondo la leggenda, Tarpea, figlia di Spulio Tarpeio (comandante dell’Arce Capitolina), tradì Roma al tempo della guerra coi Sabini scatenatasi dopo il famoso ratto delle Sabine. Una versione del racconto narra che ella aprì le porte di Roma ai Sabini in cambio dei bracciali d’oro che essi portavano al braccio sinistro, un’altra narrazione riporta invece della passione che la ragazza nutriva per il comandante dell’esercito nemico. La sua fine fu comunque atroce: uccisa dalla catasta di scudi che i Sabini le gettarono addosso, poiché anche quelli portavano appesi al braccio. La donna venne seppellita proprio sul Campidoglio, e le venne intitolata la rupe del colle dalla quale venivano gettati i traditori durante l’età romana. Sulla sua sepoltura annualmente venivano compiute libagioni in suo onore, fino a quando Tarquinio Prisco (il quinto re di Roma, secondo la leggenda) fece consacrare il colle a Giove e vi fece edificare un tempio glorioso, così della sepoltura di Tarpea si persero le tracce. Tuttavia, questo luogo di devozione è quasi certamente l’indizio di un culto più antico rispetto al racconto di Tarpea, soprattutto perché non avrebbe senso una tale forma di venerazione nei confronti di una traditrice, la cui figura sembra ricalcare quella di un antico nume tutelare del Campidoglio.

Denario del magistrato romano L. Titurius Sabinus: nel dritto il profilo di Tito Tazio, re dei Sabini, nel rovescio la morte di Tarpea. By my resource – http://www.beastcoins.com/RomanRepublican/Z3669.jpg, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3996637

Antonietta Patti
Archeologa


BIBLIOGRAFIA

  • Dionigi di Alicarnasso, Ῥωμαικὴ ἀρχαιολογία (Antichità Romane) II, 38-40; VII, 35, 4; VIII, 38,5;
  • A. Ferrari, Dizionario di Mitologia, UTET, Novara 2015;
  • P. Ovidio Nasone, Fasti, libro I;
  • Plutarco, Βίοι Παράλληλοι (Vite parallele), Romolo, XVII – XVIII;
  • Tito Livio, Ab Urbe Condita, libro I, 11
  • P. Virgilio Marone, Eneide, I; III; VII
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