9 ottobre – Sacrificio a Fausta Felicitas, Genius Populi Romani e Venus Victrix sul Campidoglio

Fausta Felicitas

I calendari epigrafici riportano che il 9 Ottobre si dovessero celebrare sacrifici a Felicitas, al Genius Publicus Populi Romani e a Venere Vincitrice, sul colle Campidoglio. Non è chiaro se le tre divinità condividessero lo stesso luogo di culto, forse un tempio, o se i loro sacelli si trovassero vicini, ma separati.

Felicità era la personificazione della felicità che a Roma veniva venerata in un tempio nel Vicus Tuscus, nell’area del Campo Marzio. Dedicato da Lucio Licinio Lucullo nel II secolo a.C., l’edificio andò distrutto nel I secolo d.C., durante il regno di Claudio. Il tempio custodì diverse opere d’arte, come una statua di Venere e un gruppo scultoreo raffigurante le Muse realizzato da Tespie, così famoso da essere citato da Cicerone come uno dei pochi luoghi di Roma nel quale era possibile bearsi della bellezza dell’arte.

La dea Felicità venne ritratta spesso sulle monete, raffigurata come una matrona romana che sorregge una cornucopia e/o un caduceo, simboli rispettivamente di abbondanza e salute, a legare i concetti di felicità e benessere psicofisico. Oltre all’epiteto “fausta” (“fortunata”), la dea veniva chiamata anche “publica” (“pubblica”, di tutto il popolo romano), “temporum” (“dei tempi”, a indicare il presente felice) e “augusta” quando legata al culto imperiale.

Felicità possedeva certamente caratteristiche simili a Fortuna, con la differenza che Felicità era una divinità assolutamente positiva e niente affatto imprevedibile (a differenza di Fortuna). Insieme all’autorità, al valore e alla scienza militare, la fortuna costituiva le principali virtù che un generale romano avrebbe dovuto possedere, secondo Cicerone.

Silla si legò particolarmente a questa divinità, prendendo addirittura l’agnomen (secondo cognomen nel sistema dei tria nomina) “Felix”. Egli tentò di basare la sua dittatura sul favore di Felicità e quindi sul benestare degli dei. A questa dea aveva dedicato in particolare i Ludi Victoriae Sullanae che si tenevano dal 26 Ottobre al 1° Novembre. Erano giochi organizzati dai pretori per celebrare la vittoria di Silla sui Sanniti nella battaglia di Porta Collina, il cui anniversario ricorreva alle Calende di Novembre.

Felicità e Giunone condividevano un sacrificio a loro riservato il 1° Luglio. Come nel sacrificio del 9 Ottobre, a Felicità veniva offerta una vacca quale vittima sacrificale.

Affresco pompeiano raffigurante un genio, I secolo a.C.

Un’altra figura sacra legata al benessere e alla prosperità in ogni campo era il  Genius Publicus, che sembra essere identificabile con il Genius Populi Romani. Il 9 Ottobre gli veniva sacrificato un toro.

Ogni luogo e alcune specificità possedevano un genio, una sorta di potere spirituale da propiziare per riuscire nelle proprie imprese. Il genio era percepito dai Romani come uno spirito positivo, benevolo e protettivo, contenuto dentro ogni luogo, ogni concetto, ogni azione e nell’anima di ogni persona.

Di solito, il Genio veniva rappresentato da una figura maschile con un diadema o un calathos su capo. Come volevano i Libri Sibillini, il Genius Populi Romani veniva evocato nei momenti più critici della storia di Roma, per determinare il successo del popolo romano.

A Venere Vincitrice, la dea dell’amore e della bellezza che vinceva nel cuore di tutti gli uomini, veniva invece sacrificata una vacca.

A Venere con l’epiteto di Victrix era dedicato il tempio che Pompeo Magno fece costruire sulla sommità della cavea del suo teatro. Dato che la legge romana impediva di costruire luoghi di spettacolo in pietra, la presenza di un’area sacra come quella dedicata a Venere Vincitrice fu l’escamotage perfetto per la costruzione del primo teatro in pietra di Roma, le cui tracce si riscontrano ancora oggi nella topografia della città, guardando ai percorsi di Via del Biscione e di Via dei Giubbonari.

In una delle sale di questo teatro, che ospitava il Senato poiché la Curia era temporaneamente chiusa per lavori di restauro, nell’area corrispondente all’attuale Largo di Torre Argentina, alle Idi di Marzo del 44 a.C. venne ucciso Gaio Giulio Cesare. Lo stesso Giulio Cesare che pose la dea Venere come capostipite della propria gens Iulia, facendo discendere Romolo e Remo da Iulio Ascanio, figlio di Enea e nipote di Anchise e Venere.

Statua di Venere in marmo, II secolo d.C., Museo Palatino, Roma (foto di A. Patti).

Antonietta Patti
Archeologa


BIBLIOGRAFIA

  • Sant’Agostino, La città di Dio contro i pagani, p. 284.
  • S. Ball Platner, T. Ashby, A Topographical Dictionary of Ancient Rome, Oxford University Press, Londra 1929;
  • Marco Tullio Cicerone, Pro lege manilia, 47-48;
  • Marco Tullio Cicerone, In Verrem, II, 4, ;
  • Anna Clark, Divine Qualities: Cult and Community in Republican Rome, Oxford University Press, Oxford 2007;
  • A. Ferrari, Dizionario di Mitologia, UTET, Novara 2015;
  • Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, vol. XXXIV, 69;
  • Velleio Patercolo, Historiae Romanae, II, 27.

Foto anteprima: Di Jean-Pierre Dalbéra from Paris, France – Maquette de Rome (musée de la civilisation romaine, Rome), CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24668983

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