Nel 67 a.C., il Senato romano prese una decisione senza precedenti, istituendo una nuova carica militare suprema: quella di navarca (dal greco naus, nave, e archòs, capo). Al navarca vennero concessi poteri straordinari, senza limiti di tempo. Egli avrebbe avuto il comando supremo delle operazioni su tutto il Mediterraneo, dallo Stretto di Gibilterra fino alle coste asiatiche e africane. Inoltre, gli fu dato il diritto di scegliere liberamente 15 luogotenenti tra i senatori, di attingere fondi illimitati dall’erario e di avere a disposizione un esercito di 120.000 fanti, 5.000 cavalieri e una flotta di 500 navi.
Questa decisione era in contrasto con i principi della Repubblica, che non permettevano di attribuire poteri così estesi a un solo individuo. Tuttavia, i senatori si trovavano di fronte a un grave dilemma: lasciare che i pirati, ormai dominatori del Mediterraneo, portassero la Repubblica alla rovina, oppure affidare a un unico condottiero il compito di liberare il mare da quei pericolosi predoni. La maggioranza dei senatori scelse di violare i propri principi repubblicani, sperando così di salvare la Repubblica dalla crisi. Fu così nominato il navarca, con l’obiettivo di avviare una lotta decisiva contro i pirati.
La pirateria era un fenomeno antico quanto la navigazione stessa e aveva sempre rappresentato un problema per chi navigava nel Mediterraneo. Roma, fin dai primi contatti con il mare, dovette difendere le proprie coste e navi dai saccheggi dei pirati. Tuttavia, per secoli la pirateria non rappresentò una minaccia insormontabile, e le forze romane riuscivano a contenere i predoni. Le cose cambiarono nel I secolo a.C., quando la pirateria raggiunse un tale livello di potere da preoccupare seriamente Roma. Questo incremento di forza era dovuto all’aiuto che i pirati avevano prestato ai re dell’Asia nelle loro guerre contro la Repubblica: in cambio ricevettero navi, risorse e persino territori.
Lo storico greco Plutarco, vissuto nel I secolo d.C., racconta che i pirati possedevano più di 1.000 navi. Da Tigrane, re d’Armenia, ottennero vaste porzioni della Cilicia, mentre altri sovrani asiatici fornirono loro arsenali, fortezze e porti nelle coste del Mediterraneo orientale. Crescendo in potenza e numero – con file rinforzate da disertori e banditi di ogni provenienza – i pirati diventarono sempre più audaci. Se inizialmente si limitavano ad attaccare navi in navigazione, cominciarono poi a saccheggiare città e villaggi costieri. Riuscirono persino a catturare importanti magistrati romani, costringendoli a pagare pesanti riscatti per ottenere la libertà. Quando scoprirono che una flotta romana si stava preparando a Ostia per combatterli, si lanciarono in un attacco improvviso, distruggendo le navi e catturando due pretori. Con il passare del tempo, i pirati si affermarono come i veri padroni del Mediterraneo.
Poche navi romane riuscivano a evitare la cattura, e questa situazione colpiva profondamente il commercio. Roma non poteva più esportare i suoi prodotti né ricevere il frumento dall’Africa, e la Repubblica romana si trovò così sull’orlo di una grave carestia. Tuttavia, i Romani non erano rimasti inerti di fronte alla minaccia costante dei pirati. Già nel 78 a.C., il Senato aveva inviato in Cilicia il console Publio Servilio con l’incarico di sradicare le loro forze. Nonostante la determinazione e il coraggio del console, dopo tre anni di combattimenti i risultati furono limitati: i pirati respinti dalla Cilicia trovarono rifugio a Creta, che, grazie alla sua posizione geografica, era diventata il loro principale quartier generale. Nel 74 a.C., un’altra spedizione militare venne inviata contro di loro, ma anche questa fallì; durante uno scontro vicino a Creta, i pirati riuscirono addirittura a catturare diverse navi romane, aggravando ulteriormente la situazione nel Mediterraneo.
Due erano le principali ragioni per cui Roma non riusciva a sconfiggere i pirati: la mancanza di un comandante dotato di straordinarie capacità e l’insufficienza delle forze messe in campo. Ma nel 67 a.C. Roma trovò finalmente l’uomo adatto per questa missione: Pompeo, un generale di grande abilità. Investito del titolo di navarca e di poteri straordinari, Pompeo ideò un piano d’azione su vasta scala. Divise il Mediterraneo in 13 settori, assegnando ciascuno a un suo luogotenente con l’ordine di stanare e catturare i pirati. La strategia funzionò rapidamente: i pirati si ritrovarono senza scampo, e quelli che riuscivano a fuggire da un settore venivano intercettati in quello successivo. In poco tempo, centinaia di navi pirata furono catturate.
Nel frattempo, Pompeo, con parte della flotta, si dedicò a ripulire il mare intorno alla Sicilia e all’Africa, permettendo così la ripresa delle spedizioni di grano dai territori africani. In soli 40 giorni, l’intera parte occidentale del Mediterraneo venne liberata dai predoni. I pirati che erano sfuggiti alla vigilanza dei luogotenenti romani si nascosero lungo le scoscese coste della Cilicia. Pompeo, al comando delle sue migliori navi da guerra, si trasferì quindi nel Mediterraneo orientale. La campagna avrebbe potuto rivelarsi lunga e cruenta, ma Pompeo adottò un piano astuto: promise a chi si fosse arreso spontaneamente di non solo la vita, ma anche la libertà. Questo approccio ebbe un grande successo, e centinaia di pirati si consegnarono spontaneamente ai Romani.
Coloro che scelsero di combattere si ritrovarono rapidamente senza via di fuga e furono costretti alla resa; anche per loro, Pompeo adottò un trattamento clemente. Così, in meno di tre mesi, riuscì a liberare l’intero Mediterraneo dalla piaga della pirateria. Alla fine, i Romani catturarono oltre 20.000 pirati e distrussero circa 1.300 navi.