Arco di Giano (Arcus Divi Constantini)

Arco di Giano

Il Velabro era una zona pianeggiante nell’antica Roma, situata tra il Tevere e il Forum Magnum, ai piedi dei colli Campidoglio e Palatino, e adiacente al Foro Boario. Secondo la leggenda, il Velabro era la palude fluviale in cui Faustolo trovò la cesta con Romolo e Remo, trasportata dalla corrente e fermata dalle radici di un fico.

All’estremità orientale di quest’area si erge il cosiddetto Arco di Giano, un imponente arco quadrifronte edificato da Costanzo II nel IV secolo d.C., che nel corso dei secoli è stato erroneamente associato alla divinità bifronte Giano, che simboleggia il guardare in direzioni opposte. Tuttavia, secondo i Cataloghi regionari, l’arco era originariamente noto come Arcus divi Constantini e non era semplicemente un monumento commemorativo, ma serviva anche come riparo e punto di contrattazione per i mercanti che vi svolgevano le loro attività commerciali.

L’arco, con una pianta quadrata di 12 metri per lato e un’altezza di 16 metri, è composto da quattro pilastri realizzati in opera a sacco e rivestiti di lastre di marmo, che sostengono una volta a crociera. I pilastri, costruiti in cementizio, sono decorati sui lati esterni, sopra lo zoccolo, con due file di tre nicchie semicircolari (per un totale di 48), ciascuna sormontata da una calotta a conchiglia. In passato, queste nicchie erano incorniciate da edicole con piccole colonne sostenute da mensole, oggi scomparse. Le nicchie probabilmente ospitavano delle statue. I soli elementi decorativi ancora visibili sono le quattro figure femminili scolpite sulle chiavi di volta: si possono appena distinguere la dea Roma sul lato est e Minerva sul lato nord, mentre l’identificazione delle altre due figure, forse Giunone e Cerere, rimane incerta.

La storia dell’attico dell’arco ebbe un destino sfortunato: durante il Medioevo, la potente famiglia romana dei Frangipane murò i fornici e trasformò la struttura in una vera e propria fortezza. Nel 1830, durante la demolizione e rimozione delle aggiunte medievali, l’attico e il coronamento originali furono distrutti, poiché non furono riconosciuti come parte dell’opera originaria. Nella vicina chiesa di San Giorgio al Velabro sono conservati frammenti che probabilmente appartenevano all’iscrizione dedicatoria di Costanzo II.

Recentemente, durante interventi di restauro e pulizia dei marmi del monumento, è emersa un’iscrizione con le tre lettere «Cos», che gli studiosi ritengono confermi il carattere onorifico del monumento, dedicato all’imperatore Costantino dai suoi figli.

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