Il Tempio della Concordia nel Foro Romano

“Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilicet ea, quae res secundae amant, lascivia arque superbia incessere. […] Namque coepere nobilits dignitatem, populus libertatem in libidinem vertere, sibi quisque ducere trahere rapere. Ita omnia in duas partis abstracta sunt, res publica, quae media fuerat, dilacerata.”
Sallustio, Bellum Iugurthinum, 41
In epoca romana, concetti astratti come la Pace, la Salute e la Concordia, venivano presentati attraverso le loro personificazioni. Queste erano solitamente figure femminili, con determinati attributi, che raffiguravano quei concetti come se fossero delle divinità. Tra le dee di questo calibro, la Concordia ricopriva un ruolo importante, e lo si può intuire dal fatto che il suo tempio si trovava nel Foro Romano, alle pendici del colle Campidoglio.
La Concordia da spirito divenne la dea dell’armonia calata nel contesto politico, quale garante del bene comune dello Stato e protettrice dell’unità politica e dell’equilibrio tra i cittadini di Roma. Il suo corrispettivo nel pantheon greco era Armonia.
Nella storia romana, la Concordia ha accompagnato la graduale integrazione della plebe nelle istituzioni dello Stato, che spesso ha vissuto momenti d’inquietudini civili sfociati nella violenza. La posizione del tempio è legata ai luoghi della politica romana, e le sue trasformazioni architettoniche sono collegate a quei momenti, nella storia di Roma, nei quali l’ordine sociale era stato messo a rischio, perciò ci si prodigava a invocare la comprensione e la concordia.

La posizione del tempio della Concordia nell’attuale assetto urbano (da Google Maps, rielaborata da A. Patti).
IL TEMPIO DELLA DEA
Il tempio della Concordia era collocato sul lato nord-occidentale del Foro Romano, vicino ad alcuni dei luoghi politici più importanti della città, come la Curia, il Comitium e i Rostra. Questa sua collocazione era un segno dell’invocazione di questa dea quale presenza di virtù e armonia che ci si augurava regnassero durante l’attività politica.
Sappiamo che nella cella del tempio più volte il Senato si è riunito1, anche perché la sua posizione nel tessuto urbano incoraggiava anche questa pratica. Come indica Varrone2 infatti, collocato tra il tempio della Concordia e la Curia, si trovava il Senaculum: il luogo delle riunioni informali del Senato. Da una lettura delle fonti antiche, sappiamo che fu nel tempio della Concordia che Cicerone pronunciò la quarta e ultima Catilinaria, contro Lucio Sergio Catilina che aveva organizzato una congiura ai danni della Repubblica, tra il 63 e il 62 a.C.3 E qualche decennio dopo, nel 31 d.C., sempre nel tempio il Senato riunitovi condannò a morte Lucio Elio Seiano, prefetto del pretorio e consigliere fidato e spietato di Tiberio, che nel frattempo era rinchiuso temporaneamente nel vicino Carcere Mamertino4.
Nel pronao invece, si riunivano spesso i Frater Arvales5. Inoltre, l’edificio venne anche sfruttato come archivio di Stato in età repubblicana, prima della nascita del Tabularium6.

Localizzazione del tempio della Concordia (in rosso), della Curia (in verde) e del Tabularium (in blu) nel Foro Romano di età imperiale (rielaborazione di A. Patti).
IL PRIMO TEMPIO
Il primo tempio della dea Concordia risale al IV secolo a.C. La sua costruzione fu iniziata nel 367 a.C. da Lucio Furio Camillo, figlio di quel Marco Furio Camillo che fu generale vittorioso durante la guerra tra Roma e Veio, e il dittatore che volle l’edificazione di questo tempio nel Foro Romano7. Il motivo che spinse a dedicare un tempio alla personificazione della concordia era stata la necessità di onorare l’armonia da poco ritrovata dai cittadini romani, dopo i disordini verificatisi tra patrizi e plebei riguardo all’approvazione delle Leggi Licinie Sestie. Queste, con la Lex De consule plebeio, aprivano la carica di console anche a coloro che nascevano plebei, istituendo l’obbligo che uno dei due consoli eletti annualmente appartenesse a quella classe sociale. In passato, i patrizi avevano preferito istituire la carica di tribuni militum consulari potestate, piuttosto che concedere il consolato alla plebe. Tuttavia, la guerra contro Veio e le invasioni galliche causarono una sempre maggior presenza plebea tra i vertici militari e ciò pose le basi per la collaborazione tra i due ceti. In questo modo, nel 367 a.C. venne approvata la legge che prende il nome dai due tribuni della plebe che la promossero: Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano. Quest’ultimo, eletto console nel 366 a.C., fu il primo di nascita plebea.
Il tempio, votato da Marco Furio Camillo e costruito dal figlio, dopo il favorevole voto popolare, venne dedicato probabilmente il 22 Luglio, ma consacrato il 16 Gennaio8.

Resti del tempio della Concordia nel Foro Romano (da Google Earth).
IL SECONDO TEMPIO
Nel II secolo a.C., nuovi scontri tra plebei e patrizi, tra optimates e populares, riaccesero la politica romana, stavolta per l’emanazione delle Leggi Sempronie, che favorivano i primi a danno dei secondi. La convalida di queste leggi causò la morte dei fratelli Gracchi: Tiberio prima e Caio dopo. I Gracchi, entrambi tribuni della plebe e amici del popolo, erano i figli di Caio Sempronio Gracco e Cornelia (figlia di Publio Cornelio Scipione l’Africano) e cognati di Publio Cornelio Scipione Emiliano.
Nel 133 a.C. Tiberio Gracco, tribuno della plebe, fece approvare la Lex Agraria. Con essa veniva creata una commissione di magistrati per il controllo dell’ager pubblicus, il cui limite massimo a proprietario veniva fissato a 500 iugeri (circa 125 ettari); quindi chi ne possedeva di più avrebbe dovuto restituirlo, in modo tale ch’esso potesse essere redistribuito al popolo. È chiaro che i grandi proprietari terrieri (patrizi), che avevano usufruito della disponibilità di terra e avevano allargato i propri possedimenti tanto da non riuscire più a distinguere quali terreni fossero di loro proprietà e quali appartenessero all’agro pubblico, non avrebbero restituito volentieri quelle terre che le loro famiglie gestivano da generazioni. Il tribuno della plebe collega di Tiberio provò ad apporre il veto, com’era suo diritto, ma con un atto d’astuzia Tiberio lo fece deporre dall’assemblea tributa, poiché stava andando contro gli interessi della plebe che lui avrebbe dovuto rappresentare. Quest’azione, insieme al tentativo di ricandidarsi al seggio di tribuno della plebe per il secondo anno consecutivo, lo posero in cattiva luce e la propaganda senatoria cominciò a identificarlo come un aspirante tiranno. Al momento delle elezioni scoppiarono degli scontri sul Campidoglio, nei quali vennero uccisi molti “gracchiani” e lo stesso Tiberio.
Dopo qualche anno, la legge che aveva impedito a Tiberio Gracco di ricandidarsi venne eliminata attraverso la Lex De tribunis reficiendis, promossa da Caio Gracco, tribuno della plebe nel 123 a.C. e poi rieletto l’anno seguente. Egli fece approvare numerose leggi, ma quelle che in particolare gli costarono la vita furono quella che potenziava la Lex Agraria, attraverso la creazione d’infrastrutture che permettevano di dare lavoro ai braccianti italici, e quella che promuoveva la creazione di una colonia nel territorio dove un tempo era sorta Cartagine che però Scipione Emiliano aveva maledetto spargendovi il sale (dopo aver raso al suolo la città nel 146 a.C.). Quest’ultima proposta venne giudicata infausta dagli indovini, e quando se ne discusse in assemblea scoppiarono disordini. La repressione patrizia, guidata dal console Lucio Opimio che per senatusconsultum ultimum aveva poteri eccezionali, portò alla morte di Caio Gracco (che nel lucus Furrinae sul Gianicolo si fece pugnalare da un suo schiavo) e all’uccisione di molti suoi compagni (rifugiatisi invece sull’Aventino).

La morte di Gaio Gracco, dipinto di Jean-Baptiste Topino-Lebrun, 1792
Successivamente, Lucio Opimio fu incaricato dal Senato di ricostruire il tempio della Concordia, per riportare e celebrare l’equilibrio tra le due parti della società romana9. Tuttavia, la costruzione di questo tempio venne vista come un monumento alla vittoria degli Ottimati sui Popolari raggiunta con l’uso delle armi, e l’edificio venne poi considerato una sorta di monito per il Senato affinché non agisse più contro gli interessi della plebe. Se la maggior parte delle fonti antiche riportano di una violenta repressione contro i gracchiani, indicando Caio Gracco come nuovo difensore della concordia, il console Opimio è invece descritto come un personaggio senza scrupoli, corrotto e conservatore. Date queste premesse, non sorprende che la ricostruzione del tempio realizzata da Opimio fosse vista con profondo sdegno, particolare che richieste l’offerta di doni agli dei10 e la celebrazione di rituali di espiazione11.
Il nuovo edificio templare doveva essere imponente, di tipo ellenistico, periptero sine postico (un colonnato lo cingeva su tre lati, tralasciando il muro di fondo) e ottastilo (con otto colonne sulla fronte).
La sopracitata ricostruzione del tempio avvenne nel 221 a.C. ma un incidente colpì l’edificio qualche anno dopo. Nel 211 a.C. infatti, come racconta Tito Livio12, una statua della Vittoria posta come acroterio nella parte più alta del tetto venne colpita e abbattuta da un fulmine, ma non cadde, rimanendo ancorata al soffitto grazie ad altre statue di Vittorie che decoravano l’edificio.
IL TEMPIO DI ETÀ AUGUSTEA
Nel I secolo d.C. invece, fu il futuro imperatore Tiberio a ricostruire il tempio, insieme a quello dei Castori. Entrambi erano stati danneggiati o distrutti, forse da un fulmine nel 9 a.C., o da un incendio nel 7 a.C. che aveva pesantemente intaccato le strutture prospicienti al Foro Romano13. La costruzione del nuovo edificio templare iniziò proprio nel 7 a.C., grazie al bottino di guerra raccolto nelle campagne belliche condotte da Tiberio contro i Germani. Esattamente il 16 Gennaio del 10 d.C il tempio venne inaugurato e titolato alla Concordiae Augustae, celebrando le vittorie militari di due fratelli: Tiberio, futuro erede di Augusto, e il di lui fratello Druso Maggiore, morto in Germania a causa di una caduta da cavallo; entrambi figli di Livia Drusilla e del primo marito, Tiberio Claudio Nerone14.
La divinità venerata in questo tempio non era più la semplice Concordia, ma la Concordia Augusta, cioè quell’armonia raggiunta solo grazie al Princeps, il cui intervento aveva posto fine alle guerre civili portando la pace. Era quindi Augusto, portatore di pace e unità, a venire onorato anche in questo luogo.
La pianta dell’edificio era probabilmente molto simile a quella del II secolo a.C., poiché la religio aveva imposto di rispettare i luoghi e a volte anche le piante originarie dei templi delle antiche divinità di Stato, com’era la Concordia; un vero e proprio limite alla ricostruzione templare augustea. Dalle tracce sulla Forma Urbis Severiana15 si nota un edificio costruito su alto podio, con scalinata frontale, affiancata dalle statue di Mercurio ed Ercole (il primo avrebbe potuto rappresentare i concetti del benessere e/o Fortuna, il secondo quello della Securitas), un profondo pronao esastilo (con sei colonne), lungo 14 m e largo 34 m, dal quale si accedeva al naos trasversale, ossia una cella avente una larghezza maggiore della lunghezza. Questa in particolare era lunga solo 24 m e larga 45 m, dettaglio che forse si deve alla disponibilità di spazio creata dalla demolizione della basilica Opimia, voluta da Lucio Opimio accanto al tempio.

Sesterzio di Tiberio (35-36 d.C.) con impresso sul dritto un rilievo del tempio della Concordia Augusta, (di Classical Numismatic Group, Inc. http://www.cngcoins.com, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4058768).
Un sesterzio del 35-37 d.C. mostra che al di sopra del colonnato esastilo corinzio e del timpano della facciata si stagliava un impressionante apparato decorativo. Al centro le statue di tre figure femminili abbracciate, ossia le dee Pace, Salute e Concordia, ai loro lati due sculture ritraenti guerrieri, forse Tiberio e Druso Maggiore, mentre alle estremità erano collocate due Vittorie alate in qualità di rimandi alle battaglie vinte dai due fratelli, il cui bottino aveva permesso la costruzione dell’edificio. Inoltre, è evidente che nel pronao, ai lati della porta d’ingresso del naos, vi erano due grandi finestre.
Come i più importanti edifici di età augustea, anche questo tempio era rivestito di marmo. Inoltre, la trabeazione16 e la sima17erano decorati con elementi floreali, forme sinuose e una dentellatura incorniciata da un motivo lesbico e ionico, cioè una decorazione costituita dall’alternanza di elementi convessi e appuntiti, tipica dell’arte augustea. Nella cella correvano 11 nicchie alternate a un imponente colonnato in marmo lunense (marmo di Carrara) con colonne su alto podio e capitelli corinzi ulteriormente abbelliti da coppie di arieti rampanti.

Resti della decorazione della trabeazione del Tempio della Concordia Augusta, Musei Capitolini, Roma. (di Cassius Ahenobarbus – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28195781).
Inoltre, nel naos del tempio della Concordia Augusta erano custodite numerose opere d’arte, che il popolo poteva vedere quando le porte del tempio venivano aperte in occasione del dies natales o durante i rituali di supplicationes che coinvolgevano tutti i santuari della città. Come ha tramandato Plinio il Vecchio18, dentro il tempio della Concordia Augusta v’era quasi una galleria d’arte, date le numerose opere dai variegati soggetti: una raffigurazione di Marsia a opera di Zeusi, Dioniso dipinto da Nicia e Cassandra ritratta da Theoros. E poi i gruppi statuari, a partire dalle statue bronzee di Apollo e Giunone a firma di Baton, la triade composta da Apollo, Diana e Latona scolpita da Euphranore, e un gruppo raffigurante Asclepio e la figlia Igea a opera di Nicerato, mentre di Tisicrate erano le rappresentazioni di Marte e Mercurio. Statue marmoree erano invece quelle di Cerere, Giove e Minerva realizzate da Sthennis. Infine, Cassio Dione19 rammenta che all’interno del tempio era stata collocata una statua di Vesta proveniente da Paros, che gli abitanti dell’isola greca erano stati costretti a vendere all’imperatore Tiberio, il quale fortemente l’aveva voluta. Nel naos erano custoditi anche tesori di oreficeria, come i quattro elefanti di ossidiana dedicati da Ottaviano Augusto al tempio, insieme a una gemma in sardonica precedentemente appartenuta al tiranno greco Policrate di Samo. Inoltre, come racconta Tacito20, nel 16 d.C., prima di dividerli tra gli accusatori, vennero depositati nella cella del tempio i beni di Marco Scribonio Libone Druso, accusato e condannato per aver congiurato contro Tiberio.

Aureo di Adriano (117-118 d.C.) con impresso sul dritto la Concordia seduta che sorregge una patera con la mano sinistra, mentre sotto la sua sedia si trovano diverse cornucopia e accanto una statuetta di Speranza (di Classical Numismatic Group, Inc. http://www.cngcoins.com, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11071933).
Come impresso sull’aureo di Adriano databile al II secolo d.C., la statua della dea Concordia doveva raffigurare una donna seduta su un alto trono, mentre reggeva una patera (una sorta di coppa utilizzata per le bevande da elargire durante le libagioni sacre) o un ramo d’ulivo nella mano destra, e una cornucopia (simbolo di abbondanza) o un caduceo (il bastone con due serpenti arrotolati, simbolo di riconciliazione) con la mano sinistra. Probabilmente collocata al centro, contro la parete di fondo del tempio, avrebbe potuto essere affiancata dai gruppi scultorei di Asclepio e Igea da un lato, e Apollo, Diana e Latona dall’altro.
DAL III SECOLO A OGGI
Da alcune tracce visibili nella cella, è stato ipotizzato che l’edificio templare abbia subito dei restauri nel corso del III secolo d.C., dopo essere stato danneggiato da un incendio e forse abbandonato all’incuria, come ricordato in un’iscrizione21. Tuttavia, nei Cataloghi Regionari del IV secolo d.C. esso è ancora presente come monumento di pregio.
Il tempio non venne distrutto ma cadde certamente in disuso dopo il 380 d.C., quando venne promulgato l’Editto di Tessalonica che vietava tutti i culti pagani, istituendo come unica religione di Stato il Cristianesimo. Un ultimo riferimento al complesso si data all’VIII secolo d.C., quando vennero descritte le sue condizioni di degrado. Venne infine definitivamente abbattuto nel XV secolo, e i suoi marmi furono trasformati in calce per essere riutilizzati come materiale da costruzione.

L’area del tempio della Concordia nel Foro Romano (di Cassius Ahenobarbus – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28195779).
Oggi del tempio rimangono poche tracce. Il basamento in pietra tufacea e i resti del podio in calcestruzzo appartengono alla costruzione del II secolo a.C. Inerenti al tempio augusteo sono i blocchi di marmo Portasanta, lunghi 7 m e decorati con un caduceo, facenti parte dell’ingresso alla cella, insieme ad alcuni lacerti in marmo del pavimento del pronao e del naos, oltre a rari frammenti della decorazione architettonica. Resti di capitelli, colonne, fregi e trabeazioni ritrovati sono esposti, in parte ai Musei Capitolini (nell’area del Tabularium, proprio sopra le rovine del tempio), laddove un capitello abbellito con una coppia di montoni si trova invece nell’Antiquarium Forense22.

Capitello corinzio con coppie di montoni, dalla decorazione del tempio della Concordia Augusta.
IL CULTO DELLA CONCORDIA
Nella seconda metà del I secolo d.C. accanto al tempio della Concordia Augusta venne edificato quello di Vespasiano e Tito, col quale condivideva la condizione della parete di fondo confinante con la fronte del Tabularium.
Quello del tempio della Concordia fu il primo esempio del culto dedicato a una personificazione e non a una divinità, che successivamente sarebbe stato seguito da numerosi altri simili culti.
La stessa Concordia venne molto onorata nell’area del Foro Romano, tramite edicole e altri piccoli edifici templari. Un tempio sull’Arce Capitolina, soprastante il più grande tempio sul Foro, era stato votato nel II secolo a.C. dal pretore Lucio Manlio, il quale aveva sedato un ammutinamento tra le sue truppe nella Gallia Cisalpina23; anche se la sua esistenza è messa in discussione da diversi studiosi, che identificano il tempio della Concordia sul Campidoglio con quello alle sue pendici24.
Un’edicola bronzea era stata eretta invece, nel 304 a.C. dall’edile Cneo Flavio, vicino il Comitium e il Volcanal25.
Ovidio26 racconta come Livia Drusilla, moglie di Ottaviano Augusto, fece edificare un tempietto dedicato alla Concordia protettrice della tranquillità nella vita domestica, all’interno o nelle vicinanze del portico che portava il suo nome sul colle Oppio.

Ricostruzione del tempio della Concordia Augusta (a derivative work of a 3D model by Lasha Tskhondia – L.VII.C., CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18437983).
La Concordia divenne una dea garante dell’accordo tra patrizi e plebei, due “categorie” di cittadini romani. I primi erano riuniti in stirpi (gentes), che prima della creazione della civitas romana costituivano unità autonome di natura politica, mentre in età monarchica formavano l’aristocrazia terriera e gentilizia posta sotto l’autorità del rex, il quale aveva nominato i capifamiglia senatori (senex). La plebe era invece composta da agricoltori, artigiani, commercianti, era la componente produttiva del popolo, dotata comunque di cittadinanza e diritto di voto. Nell’esercito romano questo si traduceva nei due corpi di patrizi-cavalieri, poiché essi avevano le finanze necessarie a mantenere un cavallo, e di plebei-fanteria. Il termine “patrizi” significa letteralmente “quelli che hanno un padre” e indica coloro che discendono dai patres (i senatori nominati da Romolo e capifamiglia delle gentes). Il loro potere si basava sulla prerogativa di realizzare auspici e di porsi in contatto con gli dei; una capacità che possedevano per tutta la vita, mentre il plebeo che raggiungeva una certa carica politica la perdeva non appena si fosse dimesso dall’incarico. Tuttavia, i plebei che riuscivano ad accedere alle più alte cariche della magistratura, addirittura al consolato, entravano poi di diritto nel Senato. In questo modo, durante la tarda età repubblicana si era gradualmente formato un nuovo ceto di homines novi composto da importanti personaggi di origine plebea, ricchi e influenti.
La prima costruzione del tempio della Concordia fu motivata dalla volontà di celebrare un accordo tra patrizi e plebei, raggiunto dopo decenni di lotte e soprattutto grazie a un nemico esterno (Veio e i Galli di Brenno) che unì il popolo di Roma. Fu per quelle battaglie che nacquero leggende come quella della schiava Tutula–Filotide, che aiutava tutto il popolo romano a sconfiggere i Latini che avevano posto sotto assedio la città, dopo il sacco dei Galli del 387 a.C.
La seconda fase di costruzione invece, si mosse in un contesto sociale diverso, nel quale non c’era più spazio per le vecchie secessioni e le ribellioni non violente della plebe. Prima Appiano27 e poi Sant’Agostino28 sottolinearono come l’età graccana pose le basi per un periodo di violenza e discordia tra patrizi e plebei che portò alle guerre civili del I secolo a.C.
Guerre civili che terminarono col principato augusteo. La propaganda augustea ha chiaramente posto un nesso tra il Princeps e Marco Furio Camillo nelle loro qualità di difensori della concordia, a partire dalla statua del dittatore collocata tra i summi viri in una delle esedre del Foro di Augusto. Mentre Lucio Opimio venne dimenticato, obliterando completamente il tempio e la vicina basilica da lui voluti, nel tentativo ben riuscito di eliminare le memorie di un evento che aveva portato all’uccisione di onesti cittadini romani, tradendo di fatto quello stesso nume tutelare della pacificazione e dell’equilibrio tra le classi sociali.
In questo modo, il tempio della Concordia Augusta divenne un ulteriore monumento della propaganda familiare di Augusto, che aveva ormai trasformato il Foro Romano nel palcoscenico della gens Iulia.
Inoltre, come abbiamo visto, la Concordia era spesso raffigurata tra altre figure. Dee, come Pax, Salus, Fortuna o Securitas, quale elemento fondamentale del vivere civile; oppure in mezzo a due membri della famiglia imperiale, ai quali solitamente tiene le mani, come simbolo di unità.
Antonietta Patti
Archeologa
NOTE
- Cicerone, Pro Sestio, 26; Le Catilinarie, III, 21; Le Filippiche, II, 19; III, 30; V, 18; Cassio Dione, Storia Romana, LVII, 11, 4.
- Varrone, La lingua latina, V, 148-156.
- Storia di Roma dalla sua fondazione, XXVI, 23, 4.
- Cassio Dione, Storia Romana, LVIII, 10-11.
- CIL, IV 2085.
- L’edificio che raccoglieva gli atti più importanti dell’amministrazione romana: atti governativi, decreti del Senato, trattati di pace, ecc, incisi su tavole (tabulae) bronzee.
- Ovidio, Fasti, I, 641-644; Plutarco, Vite Parallele, Camillo, 42, 4-6.
- Ovidio, Fasti, I, 637.
- Cicerone, Pro Sestio, 140; Appiano, Guerre Civili, I, 26, 1; Svetonio, Vite Parallele, Tiberio e Caio Gracco.
- Plutarco, Vite Parallele, Caio Gracco, 17, 6.
- Appiano, Guerre Civili, I, 26, 1;
- Storia di Roma dalla sua fondazione, XXVI, 23, 4.
- Cassio Dione, Storia Romana, LV, 1, 1; LV, 8, 5.
- Cassio Dione, Storia Romana, LV, 8, 1-2; LVI, 25, 1; Svetonio, Vite dei Cesari, Tiberio, 20.
- La pianta marmorea della città di Roma, datata al III secolo d.
- L’area di una struttura architettonica posta sopra il colonnato e sotto il timpano. Comprende le tre parti dell’architrave, del fregio e della cornice.
- Un elemento architettonico, si trova sopra la cornice (geison) posto a protezione del timpano triangolare sulla facciata delle strutture templari. Presentava spesso protomi animali per decorare i fori di scolo delle acque piovane, ed era solitamente decorata con motivi ornamentali.
- Storia Naturale, XXXIV, 73, 77, 80, 89, 90; XXXV, 66, 131,144, 196; XXXVII, 4.
- Storia Romana, LV, 9, 6.
- Annali, II, 32.
- CIL, VI 89.
- Nell’ex convento di Santa Francesca Romana, situato nella parte nord-orientale del Foro Romano, vicino l’Arco di Tito.
- Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, XXII, 33, 7.
- Ipotizzando che il tempio della Concordia Augusta fosse una ristrutturazione di questo particolare edificio, già ricostruito da Lucio Opimio.
- Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, IX, 46; Plinio il Vecchio, Storia Naturale, XXXIII, 19.
- Fasti, VI, 637-638;
- Guerre Civili, I.
- La città di Dio, III, 23-26.
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