L’Arte di Roma repubblicana

L'Arte di Roma repubblicana

L’Arte di Roma repubblicana è il periodo di produzione artistica, che si svolse nel territorio sotto il controllo di Roma, che va dal 509 a. C. al 27 a. C., anno che coincise con il conferimento da parte del Senato del titolo di Augusto a Gaio Giulio Cesare Ottaviano, primo imperatore romano.

A partire dal II secolo a. C., in corrispondenza con la piena affermazione del governo repubblicano a Roma, la funzione attribuita all’arte era soprattutto quella di testimoniare la grandezza della nazione vincitrice. Particolare sviluppo ebbe quindi la pittura trionfale, mentre la scultura assunse un evidente carattere celebrativo. In tale contesto trovò particolare diffusione il rilievo storico, volto a mostrare, negli spazi e negli edifici pubblici, le imprese di conquista.

Esaltare le vittorie di una campagna militare significa raccontare: le opere in età repubblicana assumono quindi una connotazione descrittiva e l’attenzione per il dettaglio giunge in molti casi alla documentazione storica. Ma poiché gli eventi sono il risultato delle gesta degli uomini, la scultura e il ritratto ne devono esprimere al meglio le virtù e il carattere.

Proprio questo aspetto portò l’arte figurativa romana a staccarsi tematicamente da quella greca. Se nell’arte greca anche la narrazione di vicende storiche era accompagnata dall’inserimento di temi mitologici, gli artisti romani si affidavano alla presenza umana. Tutto ciò è evidente nel fregio della cosiddetta Ara di Domizio Enobarbo, l’esempio più antico di rilievo storico giunto fino a noi. Databile in un’epoca di poco anteriore alla riforma di Mario dell’esercito (107 a. C.), l’ara è uno dei migliori esempi di arte eclettica romana dopo la conquista della Grecia. Oltre all’innaturale disposizione degli animali, simbolicamente più grandi per mettere in risalto la sacralità del rito, qui l’esercizio dell’autorità religiosa si esplica nella libera disposizione delle figure umane, le quali sono colte nella loro dignità di rappresentanti della religiosità popolare. Gli elementi stilistici, invece, evidenziano il rapporto ancora forte tra i Romani e la cultura greca ed ellenistica.

Anche i volti romani nell’età repubblicana erano rappresentati con grande cura per il dettaglio. I caratteri del ritratto romano sono la riproduzione fedele dei tratti fisionomici: vengono infatti relegati in secondo piano la bellezza (la perfezione delle forme) e la capacità di descrivere la personalità dell’individuo. In età repubblicana ci fu infatti l’usanza di modellare maschere di cera sui volti dei defunti per fissarne le fattezze per l’eternità. Lo storico greco Polibio, vissuto a Roma nel II sec. a. C., mette in luce l’aspetto più importante di questa pratica, ovvero il culto delle imagines maiorum, i ritratti degli antenati da cui trarre insegnamento.

L’arte del ritratto matura nell’ultimo trentennio del I sec. a. C., quando si giunge alla rappresentazione del volto fino al collo, che si traduce con la resa dettagliata dei lineamenti del viso, compresi i solchi delle rughe, la serena nobiltà o il tormento di sguardi penetranti. Esempi di quanto detto sono il Togato Barberini (fine I sec. a. C., conservata oggi alla Centrale Montemartini a Roma) e il Ritratto di Augusto (39 a. C., conservato in Francia, ad Arles, nel Musée de l’Arles et de la Provence antiques).

Riguardo la pittura, le maggiori testimonianze dell’arte pittorica dell’età repubblicana provengono dalle decorazioni delle pareti delle case private. Le opere a noi pervenute sono caratterizzate da vivacità ed immediatezza, nelle quali emerge un tono veristico nella resa dello spazio, della natura e dei ritratti. Citiamo due luoghi dove poter ammirare queste pitture: la Casa delle Nozze d’Argento di Pompei e Villa della Farnesina a Roma.

E riguardo l’architettura? Un decisivo impulso al decoro urbano si registra solo dopo la metà del IV secolo, quando Roma, conclusa la conquista del Lazio, ha avviato la sua espansione nella penisola italica. Vennero realizzate quindi parti in muratura del Circo Massimo, venne portato in città l’acquedotto dell’Acqua Appia, furono erette sul Campidoglio due grandi statue di Ercole e di Giove.

Esemplari di questo periodo sono però soprattutto i numerosi edifici sacri costruiti dentro e fuori le mura urbane.  Tra questi spiccano i quattro templi formanti l’Area sacra di Largo Argentina in Campo Marzio.

Le graduali conquiste della Campania, degli altri territori della Magna Grecia e della stessa Grecia determinarono un interesse sempre crescente per il linguaggio ellenizzante. Proprio dalla Campania proveniva l’acquisizione di nuovi tipi architettonici quali l’anfiteatro, le terme, il teatro nella forma romana e la casa con atrio e peristilio.

Tra i principali monumenti della Roma repubblicana, vanno ricordati i grandi santuari laziali, luoghi monumentali adibiti al culto. Tra questi citiamo il maestoso Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina (a circa 30 km dalla Capitale), realizzato non molto dopo l’80 a. C., data della distruzione della città ad opera dei Romani. Il santuario era celebre in tutto il mondo romano per il culto della Fortuna Primigenia, ovvero la primogenita dei figli di Giove, ma anche Primordiale e dunque Madre e contemporaneamente figlia di Giove stesso. Il culto era associato all’oracolo che avveniva mediante l’estrazione delle sortes, le sorti, ovvero delle tavolette di legno da cui si traevano auspici sul futuro. I fedeli e i devoti provenienti da ogni parte chiedevano responsi per le loro necessità alla divinità. Questi non accedevano direttamente alle sorti, incise su tavolette in caratteri antichi, che venivano invece estratte da un bambino, che simboleggiava lo Iupiter Puer (Giove Bambino), molto venerato dalle madri di Praeneste.

Le sue dimensioni monumentali e la concezione innovativa delle sue parti ne fanno la struttura più importante dell’architettura romana nell’epoca repubblicana. Splendida fusione di arte romana ed ellenistica, il santuario dell’antica Praeneste risalta nel panorama italico nell’età repubblicana non solo per la sua bellezza, ma anche per la complessità architettonica, che lo rende perfettamente integrato nel territorio in cui sorge. Posto lungo l’asse della strada principale del centro urbano, il santuario è costituito da due gruppi di edifici: il complesso sacro ai piedi della collina, dove la grotta absidata dell’oracolo costituiva il nucleo dell’antico santuario latino, e la parte superiore, composta da ben sette terrazze sovrapposte, rampe, portici, padiglioni circolari ed emicicli (l’area sommitale ospita oggi il rinascimentale Palazzo Colonna Barberini). Sulla terrazza degli emicicli, davanti all’esedra di destra, si conserva un pozzo, identificato con quello in cui, secondo Cicerone, il nobile prenestino Numerio Suffucio avrebbe rinvenuto le “sorti”.

I lunghi portici architravati che si susseguono sui vari piani sono ispirati all’architettura ellenistica. La complessità compositiva dell’insieme e la massiccia presenza di aperture ad arco rappresentano comunque un carattere tipicamente romano.

Diffusa nell’età repubblicana era anche la tecnica dell’encausto, che gli artisti romani ripresero da quelli greci: i colori venivano diluiti con cera o resina e fatti sciogliere col calore, seguiva quindi la stesura mediante una spatola su un intonaco molto asciutto e ben levigato. Un’importante testimonianza della tradizione pittorica romana è offerta dalle decorazioni a mosaico delle Terme e delle Ville suburbane. Ci sono giunti splendidi mosaici in bianco e nero e policromi, raffiguranti ornamentazioni geometriche o scene naturalistiche e paesaggistiche. Nel mosaico le linee e le campiture colorate sono composte mediante l’uso esclusivo di tessere, ovvero di pezzetti di marmo, pietra o pasta vitrea colorata. Le tessere venivano applicate sulle pareti da un artigiano musivarius o sui pavimenti da un tassellator.

Uno dei più antichi e vasti esempi di mosaico pervenutici integri è proprio il mosaico pavimentale rinvenuto nella Sala tribolata del Santuario della Fortuna Primigenia di Palestrina. Il mosaico fu opera di artisti alessandrini, a quel tempo numerosi nella penisola. Il soggetto riguarda l’inondazione del fiume Nilo: nella parte superiore è raffigurato l’alto Egitto, con cacciatori ed animali selvatici, alcuni dei quali immaginari; in basso si distinguono invece Alessandria e il Palazzo dei Tolomei.

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