Nel 9 d.C., Roma stava vivendo una fase di grande espansione, sia economica che territoriale. A quell’epoca, gran parte dell’Europa era sotto il controllo romano, e il Reno segnava il confine tra l’Impero e le tribù nordiche.
L’imperatore Augusto aveva l’ambizione di estendere la romanizzazione anche tra Reno ed Elba. Sebbene Tiberio e Druso avessero già ottenuto successi militari in questa regione, Augusto voleva formalizzare l’annessione e, nel settembre del 9 d.C., inviò tre legioni verso la Germania settentrionale. Si trattava più di una missione di esplorazione che di un’operazione bellica, con l’obiettivo di conoscere meglio il territorio e stabilire contatti pacifici con le tribù locali. Le tre legioni romane, guidate da Publio Quintilio Varo, erano accompagnate da numerosi civili, tra cui funzionari, mercanti e artigiani, per un totale di circa 30.000 persone.
Inizialmente, il viaggio procedette senza problemi e furono stabiliti accordi con alcune tribù germaniche. Le legioni, quindi, iniziarono il percorso di ritorno verso il Reno. Tuttavia, Varo ricevette la notizia di una rivolta a nord, e decise di cambiare percorso per affrontare il disordine, se necessario anche con l’uso della forza.
A consigliare Varo su questa decisione fu Arminio, un giovane Cherusco che, distinguendosi come alleato dei Romani, era stato promosso a luogotenente nella cavalleria ausiliaria e insignito della cittadinanza romana. Tuttavia, Arminio non intendeva più supportare i Romani; il suo piano era di tradirli, conducendo la colonna lungo un sentiero difficile e pericoloso, dove sarebbe stata vulnerabile agli attacchi delle tribù germaniche.
Con la scusa di procurare rinforzi, Arminio si separò dal contingente romano per allertare i suoi uomini dell’imminente arrivo dei Romani. Varo, completamente fiducioso, non sospettò nulla.
La colonna romana continuò a marciare senza prepararsi a un eventuale attacco, appesantita dai carri e dagli animali da soma. Arminio, attendendo l’opportunità perfetta, attese che le legioni si addentrassero nelle fitte foreste, consapevole che le pesanti armature e la presenza di numerosi civili avrebbero ostacolato la manovrabilità dei Romani. Inoltre, le legioni si trovavano in un territorio sconosciuto e privo di vantaggi tattici.
Partendo dalla Porta Westfalica sul fiume Weser, i Romani raggiunsero la zona collinare di Kalkriese, in Bassa Sassonia, dove li aspettava Arminio con le sue truppe. I Germani attaccarono dapprima la coda della colonna romana da lontano, usando giavellotti, pietre e frecce, per poi avvicinarsi al corpo a corpo sfruttando la superiorità numerica. Arminio aveva nascosto migliaia di guerrieri dietro un terrapieno e altri nelle colline e nella foresta circostanti. I Romani, ostacolati dai carri, dal bestiame e dai civili, non riuscirono a organizzarsi efficacemente e subirono pesanti perdite nel corso della giornata. Alla fine, Varo riorganizzò l’esercito e lo accampò in una radura, cercando di resistere al disastro imminente.
Nel secondo giorno di battaglia, i Romani, ormai in difficoltà, bruciarono i carri e abbandonarono tutto ciò che era pesante o superfluo, cercando di alleggerire il carico per avanzare più rapidamente verso la salvezza. L’obiettivo era di raggiungere una zona aperta (dove avrebbero avuto un vantaggio) e, successivamente, dirigersi alla fortezza legionaria di Castra Vetera sul Reno, l’odierna Xanten. Tuttavia, l’esercito romano continuava a marciare ininterrottamente attraverso le fitte e pericolose foreste di Teutoburgo. Tacito descrisse questi luoghi come “foreste spaventose e paludi insidiose”, un ambiente reso ancora più ostile dalle basse temperature e dalle violente tempeste: la pioggia rendeva le corazze romane ancora più pesanti e difficili da portare. I Germani, guidati da Arminio, approfittarono della loro conoscenza del terreno e della leggerezza delle loro armi per continuare con implacabili attacchi a sorpresa. Per i Romani fu un’altra giornata di stragi.
Il terzo giorno segnò il momento più tragico. Le piogge torrenziali tornarono a imperversare, colpendo ciò che rimaneva della colonna romana. Le cronache antiche raccontano che i legionari faticavano persino a usare le armi, rese scivolose dall’acqua. Le tribù germaniche vicine, incoraggiate dalle notizie provenienti dalla foresta, si unirono alla causa di Arminio e inviarono nuovi rinforzi.
L’esercito romano era ormai allo sbando, privo di energia e demoralizzato. Varo, comprendendo l’inevitabilità della sconfitta, decise di porre fine alla propria vita, seguito da altri ufficiali di alto grado.
Alla notizia della morte del comandante Varo, molti legionari romani cessarono ogni resistenza, e in molti casi, preferirono togliersi la vita reciprocamente per evitare di cadere nelle mani dei nemici. Altri cercarono disperatamente di fuggire, ma pochi ci riuscirono. Alcuni decisero di arrendersi, ma furono brutalmente torturati e uccisi. Solo pochissimi sopravvissero: tra questi, alcuni accompagnarono Germanico nel 15 d.C. a Kalkriese per onorare i resti dei compagni caduti sei anni prima.
Tra l’8 e l’11 settembre del 9 d.C., le legioni XVII, XVIII e XIX furono completamente annientate. Il potente esercito romano subì una delle più devastanti sconfitte della sua storia, perdendo un decimo delle proprie forze militari in un singolo scontro.
La notizia giunse rapidamente a Roma, lasciando Augusto, allora settantaduenne, profondamente sconvolto. Secondo Svetonio, l’imperatore, preso dalla disperazione, gridava: «Varo, ridammi le legioni!». Il dolore per la perdita di tanti uomini era tangibile, ma Augusto temeva anche per la stabilità dell’Impero, convinto che i Germani potessero avanzare verso l’Italia e Roma stessa. Fortunatamente, questo rischio fu scongiurato, grazie anche alla lealtà del re germanico Maroboduo, che rifiutò di allearsi con Arminio, impedendo così un’invasione.
Negli anni successivi, Roma riuscì a ristabilire la sua autorità, soprattutto grazie alle campagne militari di Tiberio, che riportò le tribù germaniche oltre il Reno sotto controllo. Da allora, gli imperatori romani decisero di non utilizzare più i numeri XVII, XVIII e XIX per nuove legioni, in memoria della perdita subita a Teutoburgo.