Lucrezia, un’eroina romana all’alba della Repubblica

Lucrezia

Mentre Tarquinio il Superbo si trovava ad Ardea, ignaro di ciò che stava accadendo, Roma gli aveva già voltato le spalle. Sua moglie riuscì a fuggire, ma la città era ormai nelle mani del popolo, e Lucio Giunio Bruto era stato acclamato come il leader capace di detronizzare definitivamente il re. Quando Tarquinio venne a conoscenza della rivolta, partì con determinazione per riconquistare ciò che considerava suo di diritto. Tuttavia, giunto alle porte della città, si trovò davanti una scena inaspettata: i cancelli erano chiusi, e il suo ingresso nel regno era stato vietato. Fu allora che, di fronte alle mura di quella che era stata la sua capitale, gli venne annunciato il verdetto: lui e la sua famiglia erano ufficialmente esiliati.

Bruto e l’appoggio dell’esercito

Mentre Tarquinio si scontrava con il suo destino di esiliato, Bruto si dirigeva verso Ardea, deciso a consolidare il suo controllo. La sua strategia era chiara: per assicurare il successo della rivolta, era indispensabile guadagnarsi il sostegno dell’esercito. Giunto all’accampamento romano, Bruto presentò i fatti ai soldati, che, indignati per i crimini e le ingiustizie della famiglia Tarquinia, lo accolsero con favore e si schierarono dalla sua parte senza esitazioni. I figli di Tarquinio il Superbo, presenti sul campo, furono costretti ad abbandonare l’accampamento e seguire il padre nel suo esilio, segnando così la fine del dominio tarquinio.

La fondazione della Repubblica

Con l’appoggio del popolo e dell’esercito, Lucio Giunio Bruto riuscì a liberare Roma dal giogo tirannico, guadagnandosi il titolo di “liberatore di Roma”, come lo definì Tito Livio. Grazie alla sua astuzia, capacità oratoria e saggezza politica, Bruto guidò l’Urbe verso un nuovo inizio. Nel 509 a.C., venne fondata la Repubblica, e Bruto fu eletto console insieme a Marco Orazio Pulvillo, sancendo così la fine della monarchia. La scelta di Bruto come console non fu casuale: consul, “colui che decide”, incarnava alla perfezione il ruolo di chi doveva tracciare il destino di una Roma rinnovata e libera.

Bruto, con la sua fermezza e visione politica, si impose come simbolo di libertà e giustizia, ponendo le basi per una Repubblica che avrebbe segnato un’epoca nella storia di Roma.

Tarquin’s Sons Admiring Lucretia’s Virtue by Jean-Jacques Lagrenée, 1781

donna poteva essere più virtuosa di Lucrezia. Per dimostrare le sue parole, propose ai suoi commensali di tornare immediatamente a Roma e visitare le case delle rispettive mogli per verificare cosa stessero facendo in quel momento. Durante il percorso, si fermarono prima nelle residenze delle parenti del re, trovandole in atteggiamenti poco edificanti. Secondo Tito Livio, le nuore del sovrano furono sorprese a “ingannare il tempo tra festini in compagnia di giovani coetanei”. Questo episodio non fece che rafforzare l’idea dell’incapacità della famiglia reale di incarnare le virtù necessarie per governare.

Quando il gruppo giunse a Collatia, nella dimora di Collatino, si trovò di fronte a una scena completamente diversa. Nonostante fosse notte inoltrata, Lucrezia era seduta nell’atrio della casa, circondata dalle sue serve, impegnata a lavorare con la lana. Tito Livio descrive l’episodio con queste parole: “Nonostante fosse notte fonda, Lucrezia era invece seduta nel centro dell’atrio e stava trafficando intorno alle sue lane insieme alle serve anch’esse indaffarate”.

Lucrezia incarnava perfettamente l’ideale della donna lanifica, una figura devota al marito, laboriosa e attenta alla gestione della casa. Questa immagine di perfezione domestica la elevò a modello di virtù femminile, un esempio da seguire per tutte le donne romane.

L’ideale infranto: la tragedia di Lucrezia e la nascita della Repubblica

Tuttavia, questa perfezione ideale venne tragicamente distrutta dalle azioni scellerate di Sesto Tarquinio, figlio del re e suo erede al trono. Il comportamento di Sesto, segnato dall’abuso di potere e dal disprezzo per le virtù che Lucrezia rappresentava, fu l’elemento scatenante che portò alla ribellione contro Tarquinio il Superbo. La violenza perpetrata contro Lucrezia divenne il simbolo delle ingiustizie e degli abusi della monarchia, alimentando un malcontento che culminò nell’esilio della famiglia reale e nella fondazione della Repubblica romana.

Lucrezia, con il suo sacrificio e la sua rettitudine, rimase un esempio immortale, un simbolo di ciò che Roma avrebbe potuto essere: una società guidata dalle virtù della giustizia, della rettitudine e della libertà.

La violenza subita da Lucrezia e la sua scelta drammatica

Secondo il racconto di Tito Livio, Sesto Tarquinio, spinto dal desiderio e dalla crudeltà, fece ritorno a Collatia qualche giorno dopo la visita iniziale, senza che Collatino ne fosse a conoscenza. Per un giovane arrogante e privo di scrupoli come lui, la perfezione di Lucrezia era un affronto: desiderava possederla, forse per dimostrare che anche una donna tanto virtuosa poteva cedere al fascino e alla prepotenza del figlio del re. Il suo desiderio si trasformò in un’ossessione, tanto che quella notte entrò furtivamente nella casa di Collatino. Approfittando del buio, raggiunse Lucrezia nella sua stanza e, con un pugnale puntato alla gola, dichiarò il suo falso amore, alternando suppliche a minacce.

Tito Livio racconta che “Tarquinio cominciò a dichiarare il suo amore, ad alternare suppliche a minacce e a tentarle tutte per far cedere il suo animo di donna”. Ma Lucrezia, fedele e devota, rifiutò con fermezza, anche di fronte alla minaccia della morte. Tuttavia, Sesto Tarquinio, mostrando la sua natura più vile, fece leva su un’ulteriore e terribile minaccia: sgozzare un servo e disporre il suo cadavere accanto a lei nel letto coniugale. In questo modo, avrebbe infangato non solo l’onore personale di Lucrezia ma anche quello della sua famiglia, insinuando che fosse stata sorpresa in un atto di adulterio degradante.

Onore e paura: il dramma di Lucrezia

La prospettiva di un disonore così profondo e irreparabile portò Lucrezia a piegarsi alla volontà di Sesto Tarquinio. Pur controvoglia, accettò di preservare l’onore della sua famiglia, sacrificando però la propria integrità personale. Questo atto, seppur imposto con la forza, rappresentava per Lucrezia una ferita indelebile, non solo fisica ma soprattutto morale. Nell’epoca romana, l’idea di stuprum andava oltre la violenza fisica: comprendeva qualsiasi rapporto sessuale extraconiugale, consenziente o meno, che violasse il legame matrimoniale, considerato un contratto di fondamentale importanza economica e sociale. Per una donna retta come Lucrezia, tale macchia sull’onore era inconcepibile.

Nella società romana, le donne accusate di stuprum, equivalente in molti casi all’adulterio, subivano pene severe: potevano essere esiliate, multate o addirittura uccise dai loro stessi familiari. Questo rifletteva una concezione in cui l’onore della donna era strettamente legato alla sua obbedienza al marito e alla famiglia. Lucrezia, consapevole di queste implicazioni, non si arrese al silenzio. Dopo l’aggressione, dimostrando una straordinaria forza d’animo, chiamò immediatamente suo marito Collatino e gli uomini a lui vicini, tra cui Lucio Giunio Bruto, per denunciare quanto accaduto.

Un simbolo di virtù e ribellione

Con il suo gesto, Lucrezia trasformò la sua tragedia personale in un atto di ribellione. La sua fermezza e il suo coraggio ispirarono la rivolta contro Tarquinio il Superbo, divenendo un simbolo eterno di virtù e resistenza contro la tirannia. La vicenda segnò non solo la fine di un regno corrotto ma anche l’inizio di una nuova era per Roma.

Il sacrificio di Lucrezia e l’inizio della ribellione

Al loro ritorno, Lucrezia non perse tempo e raccontò immediatamente quanto accaduto. Con voce ferma, dichiarò di aver perso il proprio onore, di non essere più inviolata, casta o degna di rispetto. Nonostante l’abuso fosse stato frutto di violenza, per lei il disonore subito era irreparabile. Quello che ai nostri occhi moderni è chiaramente uno stupro, per Lucrezia rappresentava anche una macchia indelebile sulla sua dignità personale e familiare. Tuttavia, non si lasciò sopraffare da lacrime o lamenti, ma si rivolse ai presenti, tra cui suo marito Collatino e Lucio Giunio Bruto, chiedendo un giuramento solenne: la vendetta contro il colpevole doveva diventare la loro unica missione.

“Se siete uomini veri, fate sì che quel rapporto non sia fatale solo a me, ma anche a lui,” esclamò Lucrezia, secondo Tito Livio. Era consapevole che l’onore perduto non poteva essere recuperato, ma il suo sacrificio poteva servire come scintilla per un cambiamento più grande. Con un gesto deciso, afferrò un coltello che teneva nascosto sotto la veste e si trafisse il cuore, cadendo a terra esanime.

Il significato del gesto finale

Nel contesto romano, il suicidio non era considerato un atto di debolezza, ma un gesto onorevole, un modo di riprendere il controllo della propria vita e di affrontare la morte con dignità. Lucrezia, con il suo sacrificio, dimostrò che la virtù e l’onore non erano prerogative maschili, ma valori universali. Prima di togliersi la vita, dichiarò: “Quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non significa che non avrò una punizione. E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l’esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!”

Le sue parole non furono solo un monito per le donne, ma un appello universale a combattere contro la tirannia e le ingiustizie. Il suo gesto, profondamente simbolico, risuonò come un atto di ribellione contro il potere oppressivo della famiglia reale, che non aveva rispettato né i suoi sudditi né le istituzioni.

L’eredità di Lucrezia

Lucrezia si sacrificò per il bene della patria, per spronare gli uomini a insorgere contro l’ingiustizia. Il suo atto spinse Giunio Bruto a giurare che la violenza subita sarebbe stata vendicata. La promessa fatta a Lucrezia si trasformò in un movimento rivoluzionario che portò alla cacciata di Tarquinio il Superbo e alla fine della monarchia.

Secondo la storiografia imperiale, fu proprio il giuramento strappato da Lucrezia a Bruto e agli altri presenti a innescare la ribellione che avrebbe condotto Roma alla nascita della Repubblica. Lucrezia non fu solo una vittima: divenne un simbolo di virtù, sacrificio e resistenza, un esempio per tutti i Romani, uomini e donne, che desideravano una città libera dal giogo della tirannia.

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