Area Sacra di Largo Argentina

In Campo Marzio è situata l’Area sacra di Largo Argentina, il più esteso complesso archeologico di età repubblicana visibile ad oggi. La denominazione “Argentina” dell’area archeologica è dovuta ad Johannes Burckardt (Giovanni Burcardo), cerimoniere di Alessandro VI Borgia. Burckardt era originario di Strasburgo, all’epoca chiamata Argentoratum; e in base a questo chiamò “Argentina” la torre inclusa nel suo palazzo di via del Sudario (Palazzetto del Burcardo), attualmente sede del Museo Teatrale.

Scoperta inaspettatamente tra il 1926 e il 1928 durante i lavori di demolizione del vecchio quartiere compreso tra via del Teatro Argentina, via Florida, via S. Nicola de’ Cesarini e corso Vittorio Emanuele per la costruzione di nuovi edifici, quest’area comprende i resti di quattro templi (la cui edificazione va dal IV al II secolo a. C.), chiamati comunemente con le prime quattro lettere dell’alfabeto. Nel 1929 Mussolini inaugurò l’area e da allora non ha subito modifiche rilevanti.

Di I, Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3708526

All’interno del complesso archeologico, dietro i templi B e C, si può ad oggi notare un grosso basamento di tufo che faceva parte della Curia di Pompeo, struttura destinata alle sedute del Senato di Roma, dove, durante la celebre seduta delle Idi di marzo, il 15 marzo del 44 a.C. fu pugnalato a morte Giulio Cesare.

Il tempio più antico tra i quattro è il tempio C, il terzo dal lato nord (lato di Largo Argentina), eretto tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a. C., e posto sull’originario piano di campagna, costituito da ghiaia e terra battuta. Il tempio C era dedicato con ogni probabilità alla dea della fertilità Feronia, il cui culto, originario della Sabina, fu introdotto dopo la conquista di questo territorio nel 290 a. C. da parte di Manio Curio Dentato.

La struttura poggia su un podio in tufo alto 3,8 metri ed è circondata da colonne, ad eccezione del fondo. Nei pressi del tempio, inoltre, si trovano i resti di un altare in peperino (una roccia magmatica, tipica delle zone di Vitorchiano e Soriano nel Cimino, in provincia di Viterbo, e dei Colli Albani) posto, in base a un’iscrizione, nel 174 a. C. dal nipote di Aulo Postumio Albino. Il tempio di Feronia (aedes Feroniae) nel corso degli anni fu pavimentato ben tre volte (con la terza, in opera cementizia, venne aggiunto un mosaico a tessere in bianco e nero all’interno della cella in mattoni). A causa dell’aumento degli strati pavimentali, il podio del tempio sembrava sempre più basso, caratteristica comunque apprezzata durante l’età repubblicana.

Verso la metà del III secolo a. C. venne eretto il tempio A (il primo sul lato nord). Innalzato allo stesso livello del tempio C, questo tempio è di dimensioni certamente più ridotte rispetto al precedente ed è, secondo alcuni studiosi, da identificare come il tempio fatto edificare dal console Q. Lutazio Catulo, in onore di Giuturna, una ninfa delle fonti (secondo la leggenda più diffusa, ella in origine era una donna, che fu amata da Giove che le offrì l’immortalità ed il dominio sui corsi d’acqua dolce del Lazio). Originariamente era un tempietto con due colonne di fronte la cella, provvisto di podio e piedistalli di colonne a forma di cuscino. La platea era in tufo e vi poggiava un altare in peperino, ad oggi conservato in parte. Il tempio di Giuturna (aedes Iuturnae) venne in seguito rifatto nuovamente nell’epoca di Silla, durante la quale venne aggiunto un colonnato intorno allo stesso tempio (divenendo così la cella di quello nuovo) con 6×9 colonne corinzie con capitelli e basi in travertino.

Di Alessio Damato – Fotografia autoprodotta, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=335270

I resti di colonne a fianco del tempio di Giuturna appartengono ad un grande portico conosciuto come Hecatostylum, ovvero il “Portico delle 100 colonne”, anche se il nome ufficiale era Porticus Lentulorum, dal nome dei suoi costruttori, i Lentuli: questo portico seguiva per tutta la lunghezza il lato settentrionale dei “Portici di Pompeo” e l’Area Sacra. In epoca medievale, su questo tempio, venne edificata la chiesetta di S. Nicola de’ Cesarini (dal nome della potente famiglia, proprietaria della zona): ancora oggi sono visibili le rovine delle due absidi.

Agli inizi del II secolo a. C. venne costruito il tempio D, il più grande dei quattro. Si presume che questo tempio fosse dedicato ai Lari Permarini (aedes Larum Permarinum), mentre, secondo altre ipotesi, alle Ninfe. Il tempio votato nel 190 a.C. da Lucio Emilio Regillo e dedicato nel 179 a.C. dal censore Marco Emilio Lepido. La maggior parte della struttura si trova attualmente sotto il manto stradale di via Florida, quindi solo una parte di questo tempio è visibile agli occhi dei cittadini romani e visitatori. Originariamente edificato in opera cementizia, in età tardo-repubblicana (I sec. a. C.) venne rifatto in travertino. Ai giorni nostri si vede solo il podio di travertino del I secolo a. C., con le sagome taglienti e non molto sporgenti, per un’altezza di circa tre metri.

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L’ultimo edificio dell’area e l’unico costruito su pianta circolare è il tempio B, che fu eretto nel 101 a. C. per celebrare la vittoria dei Romani contro i Cimbri di Viterbo (fu la vittoria decisiva che pose fine al conflitto tra i due popoli). Il tempio B si identifica come il tempio della “Fortuna del Giorno Presente”, dea rappresentata attraverso una statua acrolita (testa, mani e piedi in marmo, il resto realizzato in materiale deperibile), i cui resti si conservano oggi presso la Centrale Montemartini. Le altre parti del corpo erano ricoperte da una veste di bronzo e sono andate perdute. Ad oggi del tempio di Fortuna (aedes Fortunae) resta il basamento e sei colonne (che in origine circondavano il santuario). Il podio è modanato, la cella è circolare e costruita con opera incerta, mentre le colonne erano in tufo coperte di stucco con le basi e i capitelli in travertino. Successivamente, dopo l’80 d. C., venne allargato il podio e chiusa la faccia esterna.

Proprio nell’ 80 d. C. (in età imperiale) Campo Marzio, compresa l’Area Sacra, venne in parte devastato da un violento incendio. Anche la stessa Area subì gravi danni, tanto che con l’imperatore Domiziano venne profondamente modificata. Le macerie furono infatti nuovamente spianate e al di sopra fu costruito il pavimento in lastre di travertino, tutt’oggi visibile. Vennero ricostruiti anche il portico settentrionale e gli alzati dei templi. L’Area Sacra subì un’ulteriore trasformazione nel III sec. d. C.. Un muro contiguo chiuse la parte frontale dei templi A e B, dietro il quale vennero costruite delle stanze per botteghe e per vari servizi in favore dell’Urbe. Con ogni probabilità si trattava di uffici preposti all’amministrazione degli acquedotti e alla distribuzione del grano, alle dipendenze del curator aquarum et Municiae, una delle più alte cariche dello Stato, affidata a senatori di rango consolare, la quale conferiva al detentore il controllo assoluto sull’approvvigionamento idrico della città e sulla gestione degli acquedotti.

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