Il Foro di Cesare e il Tempio di Venere

“Aeneadum genetrix, hominum divumque voluptas,
alma Venus, caeli subter labentia signa
quae mare navigerum, quae terras frugiferentis
concelebras, per te quoniam genus omne animantum
concipitur visitque exortum lumina solis…”
Tito Lucrezio Caro, De rerum natura, I, 1-5
Nel calendario romano, numerose festività del mese di Aprile, come quella dei Veneralia alle Calende, erano dedicate a Venus, dea dell’amore e protettrice della fecondità. Già il nome di Venere era collegato a un ambiente religioso-magico connesso a una divinità benevola, favorevole agli uomini e alle donne. E in questa veste la troviamo connessa alla fondazione della Città Eterna e a una delle famiglie patrizie più famose della storia romana, la gens Iulia.
A questa potente famiglia appartenevano almeno due degli uomini più celebri della Storia: Gaio Giulio Cesare e Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto. Il primo era lo zio di Azia, madre del secondo, e suo padre adottivo per testamento. Entrambi vissero in un periodo della storia romana di guerre civili (che riuscirono a vincere) e grandi mutamenti sociali di cui furono protagonisti.
LA DEA VENERE
Venus non è una divinità di origine latina, e si trovava in secondo piano nel pantheon romano. Pur tuttavia, il suo culto sembra essersi stabilizzato nel Lazio e a Roma in epoca abbastanza antica, dato che ad Ardea esisteva un santuario a lei dedicato già in età arcaica.
Il nome di questa divinità è stato messo in relazione ai termini venia (“favore”, “grazia”), venenum (“fascino magico”) e veneror (l’atteggiamento di chi deve richiedere un favore divino), a indicare un’entità benigna, legata a quel fascino femminile visto quasi come una forma di magia, che rende le donne desiderabili agli occhi degli uomini.
Nella Roma arcaica era nota con almeno tre epiteti: Murtea/Murcia che la legava alla pianta del mirto a lei sacra, Calva che rimembrava una pratica cultuale delle donne romane (l’uso di tagliarsi, forse soltanto simbolicamente, una ciocca di capelli il giorno del loro matrimonio per offrirla alla dea) e Cloacina dopo aver assimilato una divinità arcaica collegata alla Cloaca Maxima (dal termine cluo/clure, ossia “pulire”, “purificare”)1.
Nel mondo etrusco Venere era identificata con Turan, dea della fecondità guaritrice. Il contatto col mondo greco aumentò il fascino di questa divinità, collegandola all’olimpica Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, nata dalla spuma marina o dal membro evirato di Urano caduto in mare2. Nel III secolo a.C., dopo la Seconda Guerra Punica e la conquista romana della Sicilia, grazie a Quinto Fabio Massimo Verrucoso Temporeggiatore trasmigrò a Roma anche Venere Ericina, appellativo legato all’originario luogo di culto (Erice, in provincia di Trapani), sebbene con aspetti e pratiche diverse, venendo eliminata la prostituzione sacra, per esempio.

Venere che sorge dalle acque del mare nel Trono Ludovisi che probabilmente abbelliva il tempio di Venere Ericina, Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, Roma (foto A. Patti)
Il culto di Venere Genetrix (“genitrice”), cioè colei che genera la vita e riporta la primavera e fa risorgere la vegetazione, fu innestato a Roma da Publio Cornelio Scipione Africano, tra il III e II secolo a.C. La dea fu protettrice di Silla, e poi scelta da Gaio Giulio Cesare come divina ascendente della famiglia Giulia, in quanto madre di Enea, con un racconto che mutò il significato dell’appellativo di “genitrice”. Plinio il Vecchio racconta che per la sua divina antenata, Cesare stabilì dei giochi annuali3. A causa di questo legame, il tempio eretto nel Foro voluto dal famoso dittatore era dedicato proprio a questa dea.
IL FORO DI CESARE
I lavori per il Foro di Cesare partirono nel 54 a.C., cominciando dall’esproprio dei terreni nell’area in cui doveva sorgere il nuovo complesso: un’operazione per la quale Cesare pagò 60 milioni di sesterzi, secondo Cicerone (che lo raccontava all’amico Attico4), o 100 milioni di sesterzi, derivati dal suo bottino di guerra, come invece tramanda Svetonio5. L’area, una zona prospiciente all’Arce Capitolina (la zona settentrionale del Campidoglio), era strettamente collegata a quella del vecchio Foro romano e con esso comunicante.
Nel 51 a.C. cominciarono i lavori di costruzione veri e propri, e il 26 Settembre del 46 a.C., seppur ancora incompleto, il Foro, dominato dal Tempio di Venere Genitrice sul fondo, venne inaugurato da Cesare, in occasione delle celebrazioni dei suoi trionfi in Gallia, in Egitto, in Africa e nel Ponto6.

Mappa di Roma con l’indicazione del Foro di Cesare e del Teatro di Pompeo nell’attuale assetto urbano (da Google Maps, rielaborazione di A. Patti).
Il Foro di Cesare era una piazza dalla forma rettangolare, lunga circa 136 m e larga 74 m, pavimentata con lastre di travertino (lo stesso materiale con cui verrà costruito il Colosseo).
Sui lati lunghi si trovavano due porticus duplex (portici a due navate) a due ordini sovrapposti, larghi circa 13 m, che terminavano con un’esedra ciascuno, quella occidentale aveva come finalità quella di sostenere la pendice orientale dell’Arce Capitolina. Probabilmente, il colonnato esterno dei portici, in marmo lunense (marmo di Carrara), era di ordine corinzio, quello interno invece era ionico.

Pianta del Foro di Cesare (Cassius Ahenobarbus, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons).
Al centro della piazza, spiccava la statua equestre loricata di Cesare, nota col nome di Equus Caesaris, eretta tra il 46 e il 44 a.C. Il dittatore vi era ritratto a cavallo, con indosso l’armatura. Stazio7 racconta che la statua era antica, nel III secolo a.C. era stata creata per Alessandro Magno da Lisippo (suo scultore ufficiale) e ritraeva il conquistatore macedone mentre cavalcava Bucefalo; per essere collocata nel Foro venne riutilizzata sostituendo il volto con quello di Cesare.
Tuttavia, il Foro di Cesare non era stato completato, e dopo la sua morte numerose costruzioni vennero edificate per volere del suo erede: Gaio Giulio Cesare Ottaviano.
Una di queste era una struttura alle pendici del Campidoglio, collocata dietro il muro di fondo del Foro, riconosciuta dai più come l’atrium Libertatis, la cui costruzione venne seguita da Gaio Asinio Pollione, su progetto di Cesare, dal 39 al 28 a.C.8. Questo complesso comprendeva l’archivio dei censori (dove venivano conservate le liste dei cittadini e le mappe bronzee delle terre di proprietà dello Stato), due biblioteche e forse una basilica. In questi ambienti si trovavano opere d’arte neoattiche e barocche, come il gruppo scultoreo del Supplizio di Dirce realizzato da Apollonio e Taurisco, la cui copia in marmo è oggi custodita nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Alcuni ambienti, alti più di due piani, probabilmente usati come uffici pubblici, furono creati nella stessa area e sempre dopo la morte del dittatore.

La Curia Iulia nel Foro Romano (foto A. Patti).
Inoltre, la ristrutturazione augustea, tra il 42 e il 29 a.C., estese di circa 20 m nella parte meridionale l’area del Foro, andando a comprendere nel complesso la Curia Iulia, creata da Cesare e rimaneggiata da Augusto.
L’antica Curia, detta Cornelia, era stata voluta da Silla e venne distrutta da un incendio nel 52 a.C. Nella volontà, da un lato di cancellare il ricordo di quel dittatore, e dall’altro di legare questo importante luogo di riunione alla propria figura, Cesare decise di costruirne una diversa in una differente collocazione. Perciò, la Curia Iulia venne così chiamata perché Giulio Cesare ne aveva deciso la nuova posizione.
Ottaviano, dopo la battaglia di Azio (31 a.C.) nella quale sconfisse Marco Antonio e Cleopatra, fece decorare la sommità dell’edificio con una Vittoria alata su un globo (simbolo di sottomissione universale) insieme a rappresentazioni di tutte quelle divinità intervenute in suo soccorso9. L’edificio è visibile ancora oggi, nel Foro, seppur nel suo rifacimento dell’inizio del IV secolo d.C., voluto dall’imperatore Diocleziano.

Veduta del Foro di Cesare e della Curia Iulia (da CAPTAIN RAJU, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons).
Il complesso venne completato da Ottaviano Augusto, con l’erezione del Chalcidicum10, dentro quello che lui stesso definisce “Forum Iulium”11 e non “Forum Caesaris” come viene indicato in altre fonti12. Il Chalcidicum, che Cassio Dione13 definisce Athenaion (Ἀθήναιον, tempio di Minerva), era un porticato sul lato meridionale della piazza, più largo dei portici laterali, ma avente la stessa decorazione architettonica. La sua struttura cominciava esattamente dietro la Curia Iulia, alla quale si poteva accedere dal portico mediante un’entrata, e consisteva di fatto in un nuovo monumentale ingresso al Foro di Cesare.

Statua maschile loricata acefala, proveniente dal Foro di Cesare, Museo dei Fori Imperiali, Mercati di Traiano, Roma (foto A. Patti).
Successivamente, la piazza fu riempita di statue delle quali restano poche tracce, spesso solo le basi con le iscrizioni incise. Una di queste basi riporta la dedica degli abitanti di Sabratha (città libica) alla moglie dell’imperatore Adriano, Vibia Sabina, datata al 138 d.C. L’unica scultura conservatasi, anche se acefala (cioè senza testa), è quella ritratta nell’immagine qui scopra: in marmo di Carrara, raffigura un corpo maschile stante con indosso l’armatura.
IL TEMPIO DI VENERE GENITRICE
Come nel caso del Tempio di Marte Ultore, anche il Tempio di Venere Genitrice, voluto da Cesare, era legato a una promessa. Il dittatore fece un voto alla dea poco prima della battaglia Farsalo, del 48 a.C., nella quale riuscì a sconfiggere Pompeo.
Su un basamento alto 5 m, il tempio si presentava periptero sine postico (le colonne circondavano solo tre lati del tempio, il quarto era addossato al muro perimetrale del Foro) e ottastilo (con otto colonne, per ogni lato). Secondo Vitruvio14, la pianta era picnostila poiché l’intercolumnio (la distanza tra le colonne) era pari alla lunghezza del diametro e mezzo di una colonna. La fronte del tempio era financo decorata da due fontane ai lati del podio, di cui restano poche tracce. La parete di fondo invece, era rivestita da lastre marmoree che ricopiavano l’opera quadrata (cioè costruita con grandi blocchi quadrangolari).
Il naos era abbellito da numerose opere d’arte, tra le quali due tavole dipinte di Timomaco di Bisanzio, raffiguranti Aiace e Medea, e sei dattilioteche (raccolte di gemme preziose incise). In fondo alla cella, una zona absidata raccoglieva la statua di Venere Genitrice venerata nel tempio, ultimata dopo l’inaugurazione del sacro luogo; era opera di Arcesilao, allievo di Pasitele (fondatore della scuola scultorea neoattica di Roma). Inoltre, nella cella furono collocate le statue di Cesare (offerta nel 44 a.C.), e una d’oro di Cleopatra15.

Rilievo con amorini e animali del Tempio di Venere Genitrice, Museo dei Fori Imperiali, Mercati di Traiano, Roma (foto A. Patti).
Nel tempio di Venere, già Cesare aveva offerto alla dea diversi tesori come, ad esempio, una corazza (quoniam Divus Iulius thoracem) creata con perle della Britannia (la zona meridionale dell’attuale Gran Bretagna), come ci racconta Plinio il Vecchio16.
Dedicato il 26 Settembre del 46 a.C. da Cesare, seppure incompleto come il Foro, i lavori vennero terminati solo tre anni più tardi, nel 43 a.C. (un anno dopo la morte del dittatore); per celebrare l’evento, Ottaviano riprese i giochi in onore della dea realizzati dal suo padre adottivo.

Denario di Augusto con l’immagine stilizzata del sidus Iulium nel dritto, e il profilo di Augusto con la corona civica nel recto, proveniente da Emerita Augusta, Spagna (da Classical Numismatic Group, Inc. http://www.cngcoins.com, CC BY-SA 2.5 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5>, via Wikimedia Commons).
Plinio il Vecchio17 e Cassio Dione18 raccontano che durante dei giochi disposti da Ottaviano nel 44 a.C., esattamente il 23 Settembre (il giorno del compleanno del Princeps) si era verificato un evento straordinario: nel cielo era stata avvistata una stella, che poi rimase visibile per 7 giorni. Questa cometa, chiamata sidus Iulium, fu identificata come il segno visibile dell’apoteosi di Cesare, il simbolo della sua ascesa fra gli dei. Per questo motivo la sua rappresentazione venne aggiunta a una scultura bronzea di Cesare dedicata da Ottaviano, che in questo modo cavalcava lo stato d’animo dei suoi concittadini, ammirati dall’evento eccezionale, e ne recepiva il favore, utilizzando il segno anche come presagio dell’arrivo di una nuova età dell’oro. Raffigurazioni del sidus Iulium sono state trovate soprattutto sulle monete, come il denario di Augusto trovato a Emerita Augusta (l’attuale Mérida in Spagna)19.
IL FORO DAL 43 a.C. A OGGI
Durante il I secolo d.C. furono realizzati dei lavori tra il Campidoglio e il Quirinale, prima sotto Domiziano, e poi con Traiano. Venne eliminata la sella montuosa tra i due colli, che consentì anche la costruzione del Foro di Traiano. L’intervento ebbe come conseguenza la distruzione dell’atrium Libertatis, la cui funzione passò a una delle absidi della Basilica Ulpia, nota col nome Libertatis nella Forma Urbis Severiana (la pianta marmorea di Roma del III d.C., affissa al muro di una delle sale del Foro della Pace).

Ricostruzione delle botteghe degli argentarii e graffiti con versi sulle pareti, nella Basilica Argentaria (dallo spettacolo “Viaggio nei Fori – Foro di Cesare”, foto A. Patti).
L’atrium venne sostituito da una latrina e della Basilica Argentaria. Quest’ultima era un area porticata e sopraelevata nell’angolo nord-occidentale del Foro, tra il clivus argentarius e il tempio di Venere, avente pilastri quadrangolari di tufo e un soffitto con volte a botte. Sull’intonaco delle pareti sono ancora visibili i graffiti che riportano versi dell’Eneide, le tracce delle scuole che dovevano occupare l’aula insieme alle botteghe degli argentarii (i cambiavalute). Mentre, gli edifici retrostanti il portico occidentale, occupati da tabernae che si aprivano sul clivus argentarius, vennero dotate di un ulteriore piano.
Questa operazione comportò anche la ricostruzione del tempio di Venere Genitrice, che nel frattempo stava franando alle pendici del Campidoglio. In questa occasione, tra il doppio ordine di colonne del naos, vennero inseriti i rilievi con amorini e animali in ambiente vegetale, esposti al Museo dei Fori Imperiali. Un’iscrizione dei Fasti Ostienses (un registro in marmo, probabilmente collocato nel tempio di Vulcano a Ostia, ritrovato in pochi frammenti) riporta la data dell’apertura del tempio ricostruito: 12 Maggio del 113 d.C., lo stesso giorno dell’inaugurazione della Colonna di Traiano.
Durante il regno di Diocleziano, dopo un incendio nel 283 d.C., vennero eseguiti nuovi lavori di ricostruzione. I portici laterali vennero rifatti, con colonne di granito più piccole di quelle originali in marmo lunense, e per questo su basi più alte. La facciata del tempio venne inglobata in una parete di laterizi di rinforzo, avente un unico ingresso centrale e archi laterali di sostegno. Il portico meridionale divenne una lunga sala d’accesso alla Curia: il porticato esterno venne chiuso da un muro, il colonnato interno eliminato e il pavimento realizzato in opus sectile (opera realizzata con l’utilizzo di marmi di diversi colori, in questo caso lastre di marmo bianco, granito grigio e pavonazzetto); alcuni autori indicano questa sala come il rinnovato atrium Libertatis.
In età medievale, l’area del Foro di Cesare era stata spoliata quasi del tutto, i suoi materiali riusati per la costruzione di case. Nel X secolo la piazza era già interamente occupata da campi coltivati, soprattutto vigneti e frutteti.

Resti del colonnato di età traianea del Tempio di Venere Genitrice (da Carole Raddato from FRANKFURT, Germany, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons).
Il complesso del Foro di Cesare venne scavato all’inizio del Novecento e ne resta un’importantissima area archeologica, visibile solo in parte, una nascosta si trova sotto l’attuale Via dei Fori Imperiali. Del tempio si conserva il podio di età cesariana, mentre sono state rialzate solo tre colonne corinzie che reggono una porzione della trabeazione di età traianea: sono visibili la cornice con mensole, il fregio abbellito da girali e l’architrave con amorini tra girali vegetali. Si notano le integrazioni in mattoni.

Resti della pavimentazione del Foro di Cesare, Roma (foto A. Patti).
Gli scavi del 2000 hanno invece permesso di riportare alla luce la pavimentazione in opus sectile di età tardoantica (della fine del III secolo d.C.). Purtroppo gran parte dell’apparato decorativo di questo monumentale complesso architettonico è andato perduto nel corso del tempo.
LA PRINCIPALE FUNZIONE DEL FORO
La propaganda cesariana aveva mostrato come l’antico Foro romano fosse diventato ingestibile, a causa di tutte le attività che dovevano svolgervisi (assemblee legislative, processi, giochi gladiatori, ecc.), e aveva dichiarato la necessità di creare una nuova piazza pubblica. Tuttavia, non abbiamo molte notizie riguardo le funzioni del nuovo Foro di Cesare: Plinio il Vecchio20 e Cassio Dione21 ci tramandano che nel 44 e nel 34 a.C. vi si celebrarono dei ludi (“giochi”). Appiano di Alessandria22 racconta che il foro voluto da Cesare non doveva essere un luogo commerciale, ma d’incontro, per la conclusione di affari pubblici, per amministrare la giustizia e per tenere lezioni di giurisprudenza.
In realtà, la nuova costruzione era in primis un atto politico che doveva inviare un chiaro messaggio propagandistico: era una risposta all’edificazione, avvenuta nel 55 a.C., del primo teatro in pietra di Roma voluto da Gneo Pompeo Magno.

Immagine ricostruttiva del Teatro di Pompeo e del Tempio di Venere Vincitrice
Il Foro di Cesare infatti, aveva un’importante somiglianza con il complesso voluto dal suo acerrimo nemico. Come il Foro di Cesare, anche il theatrum Pompei era dominato da un Tempio di Venere (Victrix, data la fama di Pompeo vincitore sui pirati e sui regni orientali del Ponto, della Cilicia, della Siria e conquistatore di Gerusalemme). Una sostanziale differenza era che, mentre Pompeo aveva celebrato unicamente se stesso, Cesare si era auto-celebrato insieme alla sua famiglia, la gens Iulia.
Cesare e Pompeo erano stati alleati, membri del Primo Triumvirato (insieme a Marco Licinio Crasso); Pompeo era addirittura genero di Cesare, ne aveva sposato la figlia (Giulia) con un matrimonio chiaramente d’interesse politico. Fino al 56 d.C., Cesare era stato il collante dell’alleanza tra i tre, ma quando cominciò a riportare vittorie militari durante le sue campagne in Gallia, il legame fra loro cominciò a sgretolarsi. Dopo la morte di Crasso (avvenuta nel 53 a.C.), nel 48 d.C. le legioni che Cesare guidava in Gallia passarono il Rubicone, il confine di quel pomerium che non poteva essere varcato da uomini in armi (quello che, all’epoca della fondazione, condannò a morte Remo). L’azione diede inizio alla guerra civile tra i due vecchi alleati, che terminerà (almeno in parte) con la battaglia di Farsalo.
I PRIMI DUE FORI IMPERIALI
Come per il Foro di Augusto, anche quello di Cesare era nato per cercare il consensus universorum del popolo romano, attraverso forme di auto-rappresentazione e di dimostrazione di ricchezza e trionfo.
Il tempio di Venere Genitrice e quello di Marte Ultore condividevano una simile struttura architettonica (soprattutto con l’uso dell’ordine corinzio) e la collocazione all’interno del Foro (dominato quasi in prospettiva), oltre alla particolarità di essere riempiti di opere d’arte, dedicate alla divinità onorata nel tempio, con l’ulteriore finalità di abbellire il luogo sacro. Inoltre, entrambi i templi posseggono un carattere dinastico: sono dedicati a divinità progenitrici della famiglia.
Se i due templi erano molto simili, la stessa cosa non si può dire per i Fori: una sostanziale differenza riguarda la concezione stessa del foro. Quello di Cesare non era un’area aperta a tutti, sia da un punto di vista concettuale, perché lo spazio era dedicato esclusivamente all’esaltazione della sua famiglia, giacché sembra non avesse altra funzione, ma anche da un punto di vista architettonico, dato che vi si poteva accedere da un unico ingresso, sul lato opposto a quello del tempio. Il Foro di Augusto invece, era più facilmente accessibile e aveva una funzione giudiziaria (oltre a quella di dover esaltare la gens Iulia).

Pianta dei Fori Imperiali, (da Cassius Ahenobarbus, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons, rielaborazione di A. Patti).
Sia Cesare che Augusto si ricollegarono ad Alessandro Magno, quale perfetto modello di monarca conquistatore. Entrambi ne avevano ammirato la sepoltura ad Alessandria d’Egitto, Cesare vi soggiornò durante i mesi dell’assedio del 48 a.C. durante la guerra civile alessandrina che vide scontrarsi gli ultimi discendenti della dinastia tolemaica, dalla quale uscì vincitrice Cleopatra VII Filopàtore, ultima regina d’Egitto. Come soprascritto, Cesare riutilizzò un’antica statua bronzea di Alessandro, sostituendogli il volto. Augusto invece, fece inserire nella decorazione del suo Foro e della Sala del Colosso dei legami più sottili.
LE INFLUENZE DEL MONDO ORIENTALE NEL FORO DI CESARE
L’influenza delle agorai ellenistiche è visibile nei porticati che abbellivano il Foro di Cesare, mentre l’ascendente dei santuari mediorientali si nota nella posizione dell’edificio sacro sull’asse longitudinale della piazza. Il sistema architettonico e urbanistico era stato introdotto proprio da Giulio Cesare già nell’antico Foro romano: le basiliche Giulia ed Emilia chiudevano la piazza centrale, dando un’unità monumentale al forum Romanum non esistente prima, che serviva a regolarizzare l’area e a ridurne l’estensione.

Pianta del Foro Romano con indicazione del Foro di Cesare
D’altronde, Cesare non fu il primo a trovare nei santuari ellenistici un punto di riferimento architettonico, poiché i generali vittoriosi che nel Campo Marzio avevano fatto edificare dei quadriportici, trasgredendo all’ordinamento tradizionale, li avevano già come fonti d’ispirazione. Di fatto, non esisteva rappresentazione politica che non avesse un richiamo all’arte greca. Per esempio, nel 146 a.C., Quinto Cecilio Metello aveva fatto collocare il famoso gruppo equestre di Alessandro Magno e i suoi compagni caduti nella battaglia del Granico (altra opera di Lisippo), in un portico che aveva fatto erigere nel Campo Marzio.
Accanto a questo processo di appropriazione di aspetti della cultura greca, monumenti come il Foro di Cesare mostrano l’esistenza di una forte competizione sociale insita tra tutti gli strati della società romana: il cittadino romano ambiva a mettere in mostra i propri progressi nella scalata della gerarchia sociale, mostrando i nuovi simboli del suo status.
Di fatto, la presenza della statua loricata ed equestre (riutilizzata) di Cesare nel Foro rappresentava una contraddizione per la cultura romana. Le statue-ritratto che i patrizi romani facevano commissionare, con una rappresentazione virtuosa se non eroica del personaggio raffigurato, com’era uso nelle monarchie ellenistiche (attraverso statue equestri, sculture in nudità eroica, eccetera), durante l’età repubblicana venivano collocate in ambiente privato. Le famiglie patrizie, rappresentate in Senato, avevano sempre voluto evitare che i generali vittoriosi potessero utilizzare la loro influenza militare in ambito politico, così questi venivano ritratti con la toga trionfale, mai con l’armatura; quantomeno fino a Silla (il primo a ottenere dal Senato una statua loricata nel Foro Romano). La pratica dell’esposizione in pubblica piazza, dapprima limitata dai censori e dalla previa approvazione del Senato, in età imperiale venne completamente sdoganata.
Nel sistema architettonico e urbanistico, i portici quali luoghi di commercio, con le tabernae al coperto, riprendevano quello delle strade delle città, soprattutto orientali. Il Foro inteso come piazza pubblica nella quale si svolgevano incontri di carattere privato, sulla gestione degli affari, era una caratteristica tipica delle pubbliche piazze persiane23. Sappiamo che tra i progetti urbanistici di Cesare vi era anche la creazione di una nuova città dall’assetto stradale ordinato, attraverso l’impianto ippodameo tipico delle città ellenistiche.

Pianta di Alessandria d’Egitto alla fine dell’età ellenistica (Igor Merit Santos, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons).
Sempre all’Oriente, in special modo alle grandi capitali ellenistiche, il dittatore si rifece per l’immissione di quegli elementi legati alla propaganda politica della ricerca del consenso popolare. Le tensioni tra i committenti romani, spinti dalla propria volontà di auto-affermazione, e lo stile degli artisti ellenisti, e quindi la compresenza di elementi classicistici ed ellenistici, offriva una visione variopinta e inseme la possibilità di moltiplicare le possibilità espressive.
VIAGGIO NEI FORI
Alcune delle immagini utilizzate in questo articolo sono fotografie che ho scattato allo spettacolo “Viaggi nei Fori – il Foro di Cesare”, al quale ho avuto il piacere di assistere nell’Agosto del 2015. Nuova e ancora visibile operazione di divulgazione del famoso Piero Angela, insieme al noto fisico Paco Lanciano. Nel caso del Foro di Cesare lo spettacolo è itinerante: seguendo la spiegazione di Piero Angela mediante delle cuffie, ci si muove nell’area archeologica del Foro di Cesare, tra i resti sotto la Via dei Fori Imperiali fino alla piazza. Vi consiglio di andare a vedere questa mirabile lezione e di far tesoro di questa appassionante esperienza.
La creazione di edifici e complessi architettonici, come il Foro di Cesare, mostra innanzitutto un aspetto importante della società romana: la volontà di auto-rappresentazione politica del proprio status sociale. Cesare, con i suoi maestosi progetti urbanistici (non tutti realizzati), per emergere sui suoi contemporanei e rivali della tarda età repubblicana, dovette superare per bellezza e grandezza i limiti della monumentalizzazione atta a celebrare un personaggio romano.
Come già ampiamente mostrato, il Foro di Cesare è stato il prototipo del Foro Imperiale, sebbene Giulio Cesare non sia stato un imperatore (come spesso viene invece ritenuto dai più). La sua operazione urbanistica ha ispirato quella di Ottaviano Augusto che l’ha poi applicata su larga scala, non soltanto a Roma ma in tutte le province dell’Impero, segnando l’architettura del suo tempo e influenzando privati cittadini e potenti alleati.
Agli occhi dei contemporanei, Cesare sembrava invincibile, poiché nonostante avesse combattuto innumerevoli battaglie (addirittura 302, scrisse Nicola di Damasco24) non aveva mai perso, e per essere ucciso dovette essere tradito. Il suo erede, Ottaviano, si comportò in maniera molto diversa: fu decisamente meno clemente e misericordioso, e molto più accorto verso le congiure; tanto che riuscì a sopravvivere fino a morire di vecchiaia, una vera e propria impresa, riuscita a pochi imperatori.
NOTE
- A Venere Cloacina era dedicato un sacello, del quale rimangono solo le fondamenta, nell’area del Foro Romano nei pressi dell’ingresso della Cloaca Maxima: quella grande opera urbanistica (voluta dai Tarquini nel VI secolo a.C.), che ha permesso la bonifica della palude del Velabro e l’esistenza stessa del Foro.
- Sulla sua nascita esistono numerose versioni, a testimonianza dell’antichità del culto di questa divinità.
- Storia Naturale 2, 93.
- Epistole ad Attico 4, 17, 7.
- Vite dei Cesari, il Divo Giulio, 26, 2.
- Appiano, Storia romana, Guerre Civili libro II, 102; Cassio Dione, Storia romana, 43, 22, 2-3.
- Le selve, libro I, 1, 84-90.
- Svetonio, Vite dei Cesari, Augusto, 29.
- Un’altra Vittoria, proveniente da Taranto, abbelliva anche l’aula del Senato.
- Res Gestae Divi Augusti I, 19.
- Res Gestae Divi Augusti I, 20.
- Vitruvio, Sull’architettura III, 4, 2; Plinio il Vecchio, Storia Naturale 16, 236; 35, 156; Cataloghi Regionari, regio
- Storia Romana LI, 22, 1.
- Sull’Architettura III, 3, 1-2.
- Storia Romana, LI, 22, 3.
- Storia Naturale 9, LVII, 116.
- Storia Naturale 2, 93.
- Storia Romana, XLV, 7,1.
- La monetazione permetteva di proporre al più vasto pubblico i meriti e le imprese della propria famiglia, dovendo però utilizzare immagini e parole abbreviate.
- Storia naturale 2, 93.
- Storia Romana, XLV, 6, 4.
- Storia romana, Guerre Civili libro II, 102.
- Appiano di Alessandria, Storia romana, Guerre Civili libro II, 102.
- Vita di Augusto, 22.
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- Publio Papino Stazio, Selve (Collana I classici), trad. di L. Canali, Armando Dadò Editore, Locarno 2000;
- Caio Svetonio Tranquillo, Vite dei Cesari (Collana Classici greci e latini), trad. di F. Dessì, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1982;
- Marco Vitruvio Pollione, Architettura (Collana Classici greci e latini), a cura di S. Ferri, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 2002;
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- Viscogliosi, L’architettura augustea, in E. La Rocca et al. (a cura di), “Augusto. Catalogo della mostra (Roma, Ottobre 2013 – Febbraio 2014; Parigi, Marzo – Luglio 2014)” (Collana Soprintendenza archeologica di Roma), Mondadori Electa, Milano 2013, pp. 106-117;
- Zanker, Augusto e il potere delle immagini, trad. di F. Cuniberto, Einaudi, Torino 1989;
- Zanker, Arte romana (Collana Grandi opere), trad. di M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 2008.