Il tempio di Venere e di Roma, inaugurato nel 141 d.C. dall’imperatore Antonino Pio, fu costruito su iniziativa di Adriano nel sito dove sorgeva il vestibolo della Domus Aurea di Nerone, di cui vennero riutilizzate parte delle fondazioni. Con dimensioni di 145 x 100 metri, è il tempio più grande dell’antica Roma, estendendosi nell’area tra la Basilica di Massenzio e la vallata del Colosseo. La maggior parte degli studiosi concorda nel ritenere che il sontuoso progetto sia stato ideato dallo stesso imperatore Adriano, noto per la sua passione per l’arte e l’architettura, e che dedicò l’edificio alla Città Eterna e alla dea Venere.
L’area scelta per l’edificazione del tempio coincideva con l’atrio della Domus Aurea di Nerone, dove sorgeva il colosso dell’imperatore, una gigantesca statua di bronzo alta 35 metri, senza contare la base. Quando Adriano decise di costruire il tempio, ridedicò la statua al dio Sole e la fece spostare con l’aiuto di ventiquattro elefanti. La costruzione del tempio iniziò nel 121, fu ufficialmente inaugurata da Adriano nel 135 e completata nel 141 sotto il regno di Antonino Pio. L’opera suscitò critiche da parte dell’architetto imperiale Apollodoro di Damasco, che pagò con la vita per la sua audacia.
Il maestoso edificio, ispirato all’architettura ellenistica, si ergeva al centro di un grande podio artificiale. Lungo i lati più lunghi era circondato da un doppio portico di colonne in granito grigio, con due propilei situati al centro. Sui lati corti, il tempio era collegato da scalinate alla piazza del Colosseo e al Foro. Le colonne visibili oggi sono frutto di un rialzamento effettuato durante i restauri degli anni trenta.
Il nucleo centrale del tempio era caratterizzato da due absidi contrapposte, che ospitavano le statue di Venere (rivolta verso il Colosseo) e di Roma (rivolta verso il Foro Romano); quest’ultima cella è attualmente inglobata nell’ex convento di Santa Francesca Romana. La terrazza del tempio si estendeva su un’area di circa 100 per 145 metri, con i lati lunghi adornati da un portico a giorno sostenuto da 44 colonne in granito grigio, e con un propileo al centro di ciascun lato.
Il tempio stesso si innalzava al centro su uno stilobate composto da alcuni gradini, ed era completamente circondato da una peristasi di colonne in marmo bianco con capitelli corinzi (10 colonne sui lati corti e 20 sui lati lunghi). L’interno era coperto da una volta a botte decorata con cassettoni stuccati, e presentava due file di colonne di porfido addossate alle pareti dei lati maggiori tramite un basamento comune. Le pareti erano ulteriormente arricchite da nicchie per statue, incorniciate da colonnine di porfido e sostenute da mensole in marmo bianco. L’abside, situata sul lato di fondo, ospitava la statua di culto, preceduta da due colonne di porfido e con il catino decorato con motivi in stucco. Il pavimento, ancora parzialmente conservato, era costituito da lastre di marmo policromo disposte in disegni geometrici.
Le tracce visibili oggi sono in gran parte il risultato del restauro voluto da Massenzio nel 307 d.C., dopo che un incendio aveva distrutto la parte centrale del Foro. L’edificio iniziò a essere progressivamente abbandonato e spogliato delle sue strutture a partire dal VII secolo, quando l’imperatore Eraclio concesse a papa Onorio (625-638) le tegole di ottone del tetto per utilizzarle nella Basilica di San Pietro. I primi scavi nell’area furono effettuati durante l’amministrazione francese della città, tra il 1810 e il 1817, periodo in cui furono demolite tutte le strutture medievali presenti. Dopo un lungo processo di restauro, la terrazza del tempio è stata riaperta al pubblico nel dicembre 2010 ed è ora parte integrante del percorso di visita del Foro Romano.