La battaglia del fiume Frigido (394)

La battaglia del fiume Frigido (394)

Dopo la misteriosa morte di Valentiniano II avvenuta nel 392 d. C. a Lione fu eletto augusto d’occidente Flavio Eugenio. Egli era militarmente appoggiato dal Magister militum di origine franca Abrogaste e, a causa della sua fervente fede pagana, era inoltre politicamente supportato dalla fazione pagana del patriziato di Roma, specialmente da Virio Nicomaco Flaviano, eletto prefetto del pretorio dell’Urbe proprio dal nuovo augusto.

Eugenio tentò di costruire legami di alleanza con l’augusto orientale Teodosio, inviando delegazioni e tentando un avvicinamento diplomatico tra le due parti dell’Impero. Teodosio s’era però fatto paladino dei cristiani e aveva iniziato una politica repressiva verso gli altri tipi di culto, specialmente quello pagano. Eugenio invece aveva intrapreso una manovra di pacificazione religiosa, mostrandosi sì permissivo con il culto di Cristo, ma riaprendo a Roma i maggiori centri templari del culto olimpico e celebrando nuovamente i Saturnali. Inoltre la sua discesa in Italia, regione ormai relegata a provincia e sotto il controllo del vescovo di Milano Ambrogio, aveva sancito l’abbandono della corte milanese e la fuga del santo verso Costantinopoli e la parte orientale dell’Impero.

Teodosio, forse proprio sotto la spinta di Ambrogio, sicuramente in virtù degli editti religiosi emessi nel corso degli anni precedenti, non tollerò l’”usurpatore” Eugenio a capo della pars occidentalis, e perciò assoldò circa 100 mila uomini per fronteggiare il rivale. Tale esercito era principalmente composto da foederati barbari, soprattutto Alani, Goti e Iberici del Caucaso, cui l’imperatore d’Oriente permise un afflusso massiccio all’interno dei confini imperiali e, dopo la battaglia, concesse moltissimi privilegi e territori in pagamento del servizio militare.

«I soldati presenti mi hanno riferito che venivano strappati loro di mano i giavellotti, perché un vento impetuoso soffiava dalle schiere di Teodosio contro le schiere avverse e non solo portava via con violenza tutti i dardi che erano scagliati contro di loro ma addirittura faceva tornare indietro contro i nemici le loro stesse frecce. Per questo il poeta Claudiano, per quanto contrario al cristianesimo, ha cantato nel panegirico per lui: O prediletto di Dio, per cui Eolo fa uscire dagli antri un ciclone in armi, per cui combatte l’atmosfera e i venti si adunano come alleati per le azioni militari.» (Agostino da Ippona, De civitate Dei, V,26.)

Abrogaste ed Eugenio dal canto loro riuscirono a schierare una forza armata molto più esigua, ma composta quasi interamente da romani e da alcuni contingenti di Franchi e di Alemanni. Quindi decisero di schierarsi in posizione vantaggiosa lungo le chiuse delle Alpi Giulie, vale a dire delle fortificazioni costruite da Aureliano nel secolo precedente per evitare le invasioni di barbari dal nord all’interno dei confini italici.

Tra il 5 e il 6 settembre 394 i due eserciti ingaggiarono battaglia sul fiume Frigido, a nord-est dell’attuale città di Gorizia. La prima giornata fu un disastro per le truppe di Teodosio, decisamente superiori di numero: la scarsa abilità tattica e la rivedibile scelta di schierare in prima fila i Goti, il cui comando alla fine della battaglia sarà conquistato da Alarico, in un territorio che impediva la possibilità di schieramento campale portarono alla perdita di più di 10 mila Goti e di numerosissime altre forze federate, nonché all’accerchiamento pressoché completo dell’esercito teodosiano.

Ma nella notte un federato alemanno defezionò dall’esercito di Abrogaste e si schierò con Teodosio sotto la promessa di un ingente pagamento. In più si alzò la Bora che impedì, il giorno successivo, il lancio di frecce e giavellotti da parte delle forze difensive. Così la superiorità numerica dell’esercito orientale ebbe il sopravvento sulle esigue forze romane: Eugenio fu catturato e decapitato dai soldati di Costantinopoli, Abrogaste, dopo due giorni di fuga sulle montagne, si suicidò; Virio Nicomaco Flaviano scelse per sé la stessa sorte e a Roma il sogno di restaurazione pagana e di pace religiosa fu smontato.

«Dopo la vittoria, ottenuta come aveva creduto e previsto, fece abbattere gli idoli di Giove che non saprei con quali riti erano stati intenzionalmente sacralizzati alla sua sconfitta e collocati sulle Alpi e con gioviale munificenza ne donò i fulmini, dato che erano d’oro, agli inviati i quali per scherzo, giustificato d’altronde dal lieto evento, dicevano che desideravano essere fulminati da essi.» (Agostino da Ippona, De civitate Dei, V,26.)

Le conseguenze della guerra furono terribili: le chiuse sulle Alpi non saranno mai più ricostruite e permetteranno ai Goti, gli stessi che avevano combattuto questa battaglia, di invadere l’Italia (dopo svariati anni di distruzione della Grecia), di porre Roma sotto assedio e infine di saccheggiarla.

Ambrogio fu insediato nuovamente a Milano e portò avanti la distruzione dei templi pagani e la politica di cristianizzazione della provincia sotto il suo controllo, non reputandosi assolutamente responsabile del tracollo dell’Italia, ma anzi adducendo a motivo principale della devastazione la collera di Dio contro i pagani “usurpatori” e il malgoverno delle truppe federate.

La battaglia del fiume Frigido (394)


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