La Battaglia di Alesia (52 a.C.)

La Battaglia di Alesia (52 a.C.)

La Battaglia di Alesia, conclusasi con la vittoria di Giulio Cesare nel 52 a.C., rappresentò un capolavoro di strategia e abilità ingegneristica, attribuibile tanto al genio del celebre condottiero quanto alla straordinaria adattabilità e tenacia del legionario romano, capace di affrontare qualsiasi ostacolo o difficoltà.

«… Vercingetorige divisa la cavalleria [composta da 15.000 armati, ndr] in tre parti; due schiere attaccano sui fianchi ed una impedisce la marcia alla colonna [dell’esercito romano, ndr]. Cesare, informato, ordina anche alla sua cavalleria di contrattaccare il nemico gallico in tre colonne. Si combatte in contemporanea su tutti i fronti. L’esercito romano si ferma, mentre i bagagli sono messi al centro dello schieramento tra le legioni… infine i Germani sul lato destro, raggiunta la vetta di una collina, battono il nemico, lo mettono in fuga e lo inseguono fino al fiume, dove aveva preso posizione Vercingetorige con la fanteria e ne uccidono numerosi. Gli altri, per timore di essere circondati, fuggono. I Romani fanno strage ovunque. Tre nobili capi degli Edui furono catturati e portati in presenza di Cesare. Si trattava di un certo Coto, comandante dei cavalieri… di Cavarillo, che dopo la defezione di Litavicco era divenuto comandante della fanteria, ed Eporedorige…»

(Cesare, De bello Gallico, VII, 67.)

Le forze galliche guidate da Vercingetorige, il grande capo guerriero, inflissero pesanti perdite alle coorti romane durante l’assedio di Gergovia, respingendo i legionari e mettendo per la prima volta in crisi il mito dell’invincibilità romana. Gli Edui, che costituivano gran parte della cavalleria romana, disertarono, seguendo l’esempio dei leader gallici ribelli. Questo costrinse Cesare a ritirarsi a nord per riunire le sue truppe con quelle del legato Tito Labieno. Durante la permanenza nella Gallia settentrionale, Cesare colse l’occasione per sostituire gli Edui con mercenari germanici, che equipaggiò con i potenti cavalli gallici anziché con i più piccoli destrieri germanici.

La nuova cavalleria germanica si dimostrò letale per le truppe di Vercingetorige durante uno scontro nei pressi dell’attuale Digione. Questo permise a Cesare di prendere l’iniziativa, mentre Vercingetorige si ritirò nella città di Alesia per riorganizzare le sue forze e attendere i rinforzi dalle tribù alleate.

Di Cristiano64 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8833736

Alesia sorgeva su un’altura ripida, circondata su due lati da fiumi, rendendo l’assedio l’unica strategia possibile per sottomettere sia la città che le truppe di Vercingetorige asserragliate sulla pianura sommitale. Qui si manifestarono il genio strategico di Cesare e l’abilità ingegneristica dei Romani.

Cesare ordinò la costruzione di una palizzata fortificata, completa di torri e fossati, che percorresse l’intero perimetro della collina, estendendosi per circa 14 chilometri. Sull’unico versante accessibile verso la cima di Alesia, fece scavare due profonde trincee per impedire assalti di cavalleria. Consapevole dell’imminente arrivo dei rinforzi gallici, Cesare fece erigere una seconda palizzata, orientata verso l’esterno e dotata anch’essa di fossati, pali appuntiti e trappole per frenare qualsiasi tentativo di sfondamento da parte delle forze di soccorso. Infine, dispose le sue otto legioni lungo tutto il perimetro della doppia linea difensiva.

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In ogni punto della doppia linea, i Romani furono attaccati, affrontando pressioni sia dall’interno che dall’esterno. Tuttavia, riuscirono a resistere alla forza dell’esercito gallico, che mancava di un’organizzazione coordinata. Al contrario, le legioni romane, composte da circa 6.000 uomini ciascuna, operavano con un’efficienza autonoma, mentre Cesare, muovendosi a piedi o guidando la cavalleria, accorreva rapidamente nelle aree più critiche.

La disparità numerica era notevole: secondo alcune fonti, per ogni soldato romano c’erano cinque guerrieri gallici. Tuttavia, la disciplina e la versatilità delle legioni, combinate con la maestria ingegneristica dei Romani, permisero a Cesare di ottenere la vittoria. L’attacco decisivo si concentrò lungo il fronte romano, pressato su entrambi i lati. Le difese sembravano sul punto di cedere, travolte dall’ondata nemica, quando Cesare, in sella alla cavalleria, apparve da una collina vicina, il suo mantello cremisi sventolando al vento. I legionari, ispirati dalla presenza carismatica del loro comandante, ripresero coraggio e, con una nuova energia, respinsero l’assalto dei Galli.

«Ora Vercingetorige avrebbe potuto scappare, poiché non era stato catturato e non era ferito. Egli sperava, poiché era stato con Cesare in rapporti di amicizia, di poterne ottenere il perdono da lui. Così egli venne da Cesare senza essere annunciato, ma comparendo davanti a lui all’improvviso, mentre Cesare era seduto su di uno scranno come in tribunale, e gettando allarme tra i presenti. Egli avanzò imponente, di alta statura, armato splendidamente. Quando si ristabilì la calma, egli non proferì parola, ma si inginocchiò ed afferrò le mani di Cesare in segno di supplica. Ciò ispirò molta pietà tra i presenti al ricordo della sua iniziale fortuna e nello stato attuale di angoscia in cui versava ora.»

(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, XL, 41.)

Dopo aver respinto le forze di rinforzo, Alesia cadde per fame, e Vercingetorige, trascorsi sei anni di prigionia, fu portato a Roma per il trionfo di Cesare. Incarcerato nel carcere Mamertino, il più antico di Roma, venne infine strangolato.

Roma aveva trionfato completamente, e la sua vittoria segnò la fine della civiltà gallica come potenza autonoma: una delle culture più promettenti dell’Europa antica venne travolta dall’espansione romana. Solo alcuni elementi della complessa società gallica riuscirono a permeare la cultura della Repubblica, ormai decisa a dominare non solo il Mediterraneo ma anche gran parte dell’Europa continentale.

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