Il Foro di Augusto e il Tempio di Marte

“… neve lue rue Marmar sins incurrere in pleoris
satur fu, fere Mars, limen sali, sta berber
[…]
Enos Marmor iuvato
enos Marmor iuvato
enos Marmor iuvato
triumpe triumpe triumpe triumpe triumpe!”
Carmen Arvale
Le Idi di Marzo (il 15 del mese) del 44 a.C. è un giorno che ricordiamo tutti, perché è la data dell’assassinio di Gaio Giulio Cesare. Il dittatore si preparava a una prossima campagna contro i Parti, quando un gruppo di senatori, nella temporanea aula del Senato nei pressi del Teatro di Pompeo, nel tentativo di “ripristinare” la Repubblica, lo uccise con 23 coltellate a tradimento.
Il suo assassinio ha permesso l’ascesa al potere di un suo pronipote: Gaio Ottavio Turino, conosciuto come Ottaviano Augusto. Un uomo che ha lasciato un’impronta indelebile nella Storia e nella città di Roma. Ancora oggi infatti, nella Città Eterna è possibile ammirare ciò che resta della sua opera, come il suo Foro e il tempio collocatovi.
IL DIO MARTE
Mars è il nome latino di una delle più antiche divinità del pantheon romano. Tra i popoli osci e sabini era conosciuto col nome di Mamers/Marmor; mentre il suo corrispettivo greco è Ares.
La leggenda più conosciuta della nascita di Roma lo vede tra i personaggi più importanti, quale padre del fondatore della città, Romolo; tant’è che uno dei suoi appellativi era Marspiter/Maspiter col significato di “Padre Marte”, e in questa veste era una divinità protettrice dell’agricoltura e dell’allevamento con l’epiteto di Silvanus.
Già nella Roma arcaica, Marte era la divinità più venerata secondo solo a Giove. Insieme a Giove e Quirino, Marte faceva parte della triade arcaica preposta alla protezione del cittadino romano, che trovava un luogo di culto nella casa del re annessa al santuario di Vesta, tra il colle Palatino e la Velia.
Non stupisce quindi, che a questa divinità fosse dedicato il primo mese dell’anno nel calendario romano, Marzo, che si apriva proprio con un periodo di celebrazioni dedicate al dio, note col nome di feriae Marti.

Ares (Marte), Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps, Roma (Foto A. Patti)
Come divinità della guerra, noto anche con l’appellativo di Gradivus, era di sua competenza il Campo Marzio (che da lui prende il nome): quella piana, oggi occupata dal centro storico della città, che fino al III secolo d.C. non rientrava neppure all’interno della cinta muraria1. Per questo motivo vi si trovano monumenti funerari, come il mausoleo di Augusto e la colonna Antoniana (che conservava le ceneri dell’imperatore Marco Aurelio). Prima di venire urbanizzata, la zona era adibita alle esercitazioni militari dell’esercito romano. La sua urbanizzazione si deve innanzitutto a Gneo Pompeo Magno, che vi fece edificare il primo teatro in pietra di Roma (nella zona tra l’attuale Largo di Torre Argentina e Campo dei Fiori), e poi all’opera di Ottaviano Augusto e di Marco Vipsanio Agrippa, che vi fecero costruire numerosi edifici, come l’Ara Pacis, le terme di Agrippa e la basilica di Nettuno, solo per citarne alcuni.

Mappa di Roma con l’indicazione del Campo Marzio e del Foro di Augusto (da Google Maps, rielaborazione di A. Patti)
UN VOTO A MARTE
A Mars Ultor, Marte nella sua accezione di “vendicatore”, era consacrato il tempio che dominava il Foro di Augusto.
Gaio Giulio Cesare Ottaviano (non ancora Augusto) aveva giurato di edificare un tempio di onore del dio Marte, che lo avrebbe aiutato nel vendicare la morte di quel padre che lo aveva adottato tramite testamento: Gaio Giulio Cesare. Questo avvenne nel 42 a.C., a Filippi, dove Ottaviano e Marco Antonio sconfissero gli ultimi cesaricidi: Gaio Cassio Longino e Marco Giunio Bruto (entrambi morti suicidi). Dopo la battaglia, quando Ottaviano tornò a Roma decise di onorare subito la sua promessa e fece iniziare i lavori per la costruzione del tempio, terminati circa 40 anni dopo, nel 2 a.C.
Il tempio venne circondato da un cortile porticato e decorato, noto come Foro di Augusto.

Pianta del Foro di Augusto e del tempio di Marte Ultore (di Cassius Ahenobarbus – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29496413, rielaborazione da A. Patti)
IL FORO DI AUGUSTO
Il foro era lo spazio religioso, culturale, amministrativo e commerciale più importante della città romana. Secondo quella che Vitruvio2 definisce la “disciplina etrusca”, la piazza del foro doveva essere collocata al centro dell’impianto urbano, all’incrocio tra il decumano massimo e il cardo massimo, vi si dovevano affacciare gli edifici pubblici più importanti della città, come il Capitolium (il santuario della Triade Capitolina, composta da Giove, Giunone e Minerva), le basiliche, il macellum, ecc. Inoltre, il foro avrebbe dovuto essere perfettamente rettangolare, con dimensioni sufficienti a permettere lo svolgimento dei ludi (giochi), ecc; ma nella realtà, gli spazi pubblici delle città romane si adattavano alla geomorfologia del territorio. Il foro romano è di forma trapezoidale, per esempio, e fu Giulio Cesare a regolarizzare la piazza, mentre col suo foro creava un nuovo spazio pubblico somigliante ai grandi santuari porticati ellenistici, nei quali il tempio non era al centro ma su un lato. Il suo esempio verrà seguito da Ottaviano.
Il Foro di Augusto è stato costruito sull’antico quartiere dell’Argiletum, su terreni di proprietà di Ottaviano, a nord-est rispetto al Foro di Cesare e con esso comunicante, ma indipendente nello stile e nel messaggio propagandistico. L’antico foro romano e quello più recente di Cesare non erano più sufficienti a gestire le attività giuridiche ed economiche della capitale dell’Impero.

Pianta dei Fori Imperiali con indicazione del Foro di Augusto (da Cassius Ahenobarbus, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons, rielaborazione di A. Patti)
Al centro del Foro, eretta dal Senato nel 2 a.C., il gruppo scultoreo in bronzo raffigurante una quadriga vittoriosa guidata da Ottaviano Augusto, nelle vesti di Pater Patriae (titolo che gli era stato consegnato proprio quell’anno), doveva colpire lo sguardo dei visitatori. Come vedremo più avanti, non si tratta dell’unica raffigurazione gloriosa di Augusto presente nell’area.
Ai lati lunghi della piazza si trovavano dei portici, con il soffitto a capriate lignee e il tetto coperto da tegole in marmo, decorati con una pavimentazione in opus sectile (una composizione geometrica realizzata con marmi colorati). Davanti le colonne corinzie dei porticati, si trovavano un totale di circa 61 statue, raffiguranti le più importanti divinità del pantheon romano e le personalità più illustri della storia di Roma. Sopra le colonne, era posizionato un fregio continuo decorato con girali d’acanto, simboli di abbondanza.

Ricostruzione dell’attico dei porticati del Foro di Augusto, Museo dei Fori Imperiali, Mercati di Traiano, Roma (foto A. Patti)
Sopra il fregio si trovava un attico abbellito da clipei con la testa di Giove Ammone (un volto barbuto e con le corna da ariete) e da cariatidi (sculture di figure femminili utilizzate come sostegno al posto di colonne) che sostenevano il gocciolatoio ornato con protomi leonine.
Le pareti di questi porticati erano movimentate da semicolonne alternate a nicchie, occupate a loro volta da statue raffiguranti antichi romani esemplari, come Silla, Mario, Appio Claudio Cieco e i Gracchi (Tiberio e Gaio).
Entrambi i portici possedevano 2 esedre coperte dalla forma semicircolare, separate da grossi pilastri quadrangolari decorati con semicolonne corinzie; un secondo ordine di colonne permetteva a questi ambienti di avere un soffitto più alto di quello dei portici. La scoperta di una terza esedra, alla quale molto probabilmente corrisponde una quarta nel porticato di fronte, avvalora l’ipotesi che nella zona sud-occidentale della piazza si trovasse una basilica, ricavando una struttura tripartita come quella del Foro di Traiano (che si basava proprio su quello di Augusto).
Le grandi esedre (a Nord-Est e a Sud-Est) avevano una destinazione d’uso leggermente diversa: in entrambe veniva amministrata la giustizia, ma nell’esedra meridionale il praetor urbis sentenziava sulle contese tra cittadini romani, in quella settentrionale il praetor peregrinus si occupava dei casi tra gli stranieri.

Ricostruzione con effetti di luci dell’esedra meridionale del Foro di Augusto (dallo spettacolo “Viaggio nei Fori – Foro di Augusto”, foto A. Patti)
Anche in questi ambienti continuava la decorazione dei porticati, con le nicchie riempite da sculture; ma quelle centrali, di maggiori dimensioni e inquadrate da due colonne staccate dalle pareti, risultavano quasi delle edicole. Delle targhe (dov’era iscritto il nome, i titoli, e in alcuni casi le imprese) permettevano il riconoscimento dei personaggi scolpiti, come ci racconta Ovidio3. Nell’esedra settentrionale, Enea (in armatura romana e calzari patrizi, come antenato della gens Iulia) raffigurato col padre Anchise e il figlio Iulio Ascanio, occupava la nicchia centrale, fiancheggiata dalle nicchie coi re della discendenza albana e dei membri della famiglia Giulia; in quella meridionale invece, tra quelle dei summi viri era posizionata la statua di Romolo vittorioso che teneva le spolia opima di Acrone, re dei Cenini (popolo sconfitto nel suo primo anno di regno).

Immagine di ricostruzione della sala del Colosso, Museo dei Fori Imperiali, Mercati di Traiano, Roma – http://www.mercatiditraiano.it/it/sede/area_archeologica/foro_di_augusto/l_aula_del_colosso
L’esedra settentrionale permetteva l’accesso a un ambiente quadrangolare chiamato “sala del Colosso”, dedicato al culto del numen di Augusto. Decorato da elementi marmorei e suddiviso da una cancellata bronzea, in questo luogo era presente una statua colossale (alta 12 m) del Princeps nelle vesti di pontefice: capite velato e con un lituo (uno degli strumenti degli auguri) tra le mani. Nell’aula si trovavano anche un tripode e un dipinto di Apelle raffigurante Alessandro Magno vittorioso.
Sopra questa stanza si trovava un ambiente, al quale si accedeva solo tramite una scala collegata al tempio di Marte, forse usata dai Salii (i sacerdoti del culto di Marte) durante i rituali che prevedevano anche una danza sacra nella quale, armati, battevano delle mazze sui sacri ancilia. L’ancile era uno dei talismani più importanti di Roma (pignora imperii), caduto dal cielo in risposta alle preghiere di Numa Pompilio (secondo re della città), per liberare l’abitato da una pestilenza, e come segno del glorioso destino di Roma. Per evitarne il furto, vennero realizzate 11 repliche dell’oggetto, dall’artigiano Mamurio Veturio4, inizialmente conservate nella casa del re e poi nella Regia, insieme ad altri oggetti cultuali.
Un muro alto più di 30 m, in opus quadratum (ossia composto da blocchi di forma quadrata) di peperino e pietra gabina, utile anche da tagliafuoco, separava il complesso dal quartiere della Suburra. La sua linea spezzata e piena di angoli è dovuta al rispetto di Ottaviano per la proprietà privata, poiché egli non volle espropriare terreno ai suoi concittadini per realizzare un opera di maggiori dimensioni. Contro di esso si stagliava il tempio di Marte Ultore. Dalla Suburra si accedeva al Foro attraverso due aperture ad arco, ai lati del tempio: quella a nord possedeva tre fornici, quella a sud una sola arcata (oggi chiamato Arco de’ Pantani).
IL TEMPIO DI MARTE ULTORE
Sul lato orientale della piazza del Foro, il tempio svettava, alto più di 20 m e posto su un basamento di 5 m. Coi suoi 25 m di larghezza e 27 m di lunghezza era un edificio imponente, rivestito interamente di marmo lunense (marmo di Carrara) e abbellito da una decorazione trionfale.

Immagine della ricostruzione del Tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto, Musei dei Fori Imperiali, Mercati di Traiano, Roma – http://www.mercatiditraiano.it/it/sede/area_archeologica/foro_di_augusto
Tipico dell’architettura sacra italica, era periptero sine postico (le colonne circondavano solo tre lati della cella, il quarto lato era appoggiato alla parete di fondo), ottastilo, e sulla scalinata frontale, composta da 18 scalini, si ergeva un altare. Due fontane a girali ornavano gli angoli del monumentale tempio.
La fronte del tempio si presentava quindi con otto colonne (ottastilo) di ordine corinzio, che sostenevano un architrave con iscrizione, indicante il bottino di guerra come la fonte economica per la costruzione dell’edificio sacro (ex manubiis dono dedit).
Il frontone riportava una straordinaria composizione statuaria dominata da Marte in seminudità eroica, con un piede su un globo quale simbolo di sottomissione universale e nelle mani i suoi attributi principali: lancia e spada. Alla sinistra del dio, la dea Venere con Amore, seguita da Romolo (seduto, nelle vesti di un augure) e dalla personificazione del Palatino; a destra, la dea Fortuna (con timone e cornucopia) insieme alla personificazione di Roma e del Tevere. Tre Vittorie come acroteri completavano la scena.
Oltre il colonnato sopradescritto vi era un pronao, dal soffitto composto da cassettoni marmorei e pannelli con decorazione a meandro di colore dorato e blu egizio (uno dei colori più costosi della tavolozza dell’età antica), che permetteva l’accesso al naos chiuso da porte di bronzo, forse cesellato, sulle quali erano raffigurate le armi dei nemici vinti.

Frammenti di capitelli corinzi con pegasi del tempio di Marte Ultore, Musei dei Fori Imperiali, Mercati di Traiano, Roma (da Google Maps)
Le pareti della cella erano abbellite da lesene fronteggiate da un doppio ordine di colonne aggettanti, dalle basi decorate e con capitelli di ordine corinzio con pegasi fuoriuscenti dagli angoli, che conducevano lo sguardo verso un soffitto a cassettoni.
La pavimentazione, come risulta dai resti ancora presenti in situ, esibiva un disegno realizzato con grandi lastre rettangolari: di marmo africano e pavonazzetto nel pronao, e pavonazzetto e giallo antico nel naos.

Statua colossale di Marte dal Foro di Nerva, replica della statua di culto di Marte Ultore, Musei Capitolini, Roma. Di Andrea Puggioni Marte ai Musei Capitolini, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6408153
In fondo alla parete absidata della cella, una breve scalinata, rivestita di alabastro e pavonazzetto, conduceva al podio con le sculture delle divinità onorate nel tempio. Conosciamo le statue di culto grazie a due ritrovamenti: un rilievo cartaginese e una statua trovata nel Foro di Nerva databile all’età Flavia (seconda metà del I secolo d.C.).
Una statua loricata di Marte barbato, con indosso un elmo decorato con tre pegasi, e un mantello a coprirgli le spalle, che scivola verso lo scudo poggiato in terra decorato con la corona civica. La corazza dell’armatura è abbellita con cornucopie (simboli di abbondanza e prosperità), una gorgone (figura mitologica dal significato apotropaico) e grifi (animali sacri a Nemesi, dea della vendetta) tra girali vegetali. Alla destra del dio della guerra, Venere in chitone, accompagnata da Amore che le porge uno spadino: il simbolo dell’amore vincitore su tutto, anche sulla furia di Marte e della guerra, che permette così alla pace di trionfare.

Ricostruzione con effetti di luce della zona absidata del tempio di Marte Ultore (dallo spettacolo “Viaggio nei Fori – Foro di Augusto”, foto A. Patti)
Dietro il podio, vi doveva essere una porta che conduceva all’adyton, nel quale probabilmente era conservato un tesoro. In una delle sue satire, Giovenale fa riferimento a un elmo sottratto dal tempio di Marte, forse un pezzo del tesoro che lì era custodito5. Inoltre, quando venne terminata la sua costruzione, nel tempio furono conservate anche le insegne che Ottaviano Augusto riuscì a recuperare ai Parti nel 20 a.C., dopo che Crasso (che insieme a Cesare e Pompeo aveva formato il primo Triumvirato) le aveva perdute nel 53 a.C.
L’IMPORTANZA DEL TEMPIO DI MARTE NEGLI USI E NEI COSTUMI
Il tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto divenne un importante luogo nella vita della Roma imperiale. Ovidio6 e Svetonio7 tramandano che qui il Senato si riuniva per deliberare le guerre e i successivi trionfi; da qui i magistrati partivano per le province che con l’imperium gli erano state assegnate. Cassio Dione8 racconta che i generali dovevano dedicare a Marte lo scettro e la corona ricevuti durante i trionfi, che i censori avevano l’obbligo di piantare un chiodo nel tempio al termine del loro mandato, e che i cavalieri iniziavano la loro parata proprio dal Foro di Augusto. Nello stesso luogo gli imperatori come Traiano amministravano la giustizia9. Svetonio tramanda anche dei banchetti rituali nel tempio, praticati dai Salii10.
I giovani che nella giornata, coincidente con la festività dei Liberalia (17 Marzo)11, celebravano il loro passaggio all’età adulta, abbandonando la toga praetexta per indossare quella virilis, lasciavano la propria bulla (che, appesa al collo, li aveva protetti durante l’infanzia) proprio nel tempio di Marte.
IL FORO DAL 14 AL 2021
Il Foro di Augusto subì delle modifiche già durante il regno di Tiberio, nel 19 d.C., con la creazione di due archi di trionfo dedicati a Druso Minore e al figlio Germanico (rispettivamente, il fratello e il nipote del secondo imperatore di Roma).
Tuttavia, molto probabilmente lo stravolgimento più grande fu provocato dalla creazione del Foro di Nerva, che causò la distruzione dell’esedra meridionale, mentre quella settentrionale venne eliminata con la realizzazione del Foro di Traiano. Col tempo infatti, le due grandi esedre avevano perduto la loro originaria funzione giudiziaria, venendo sempre più utilizzate per incontri e lezioni dei grandi retori, venendo poi soppiantate totalmente dalla Basilica Ulpia, sita nel sopracitato Foro di Traiano.
Dal V secolo d.C. cominciò la spoliazione del materiale architettonico del Foro di Augusto. Un’iscrizione sul rocchio di una colonna cita il nome di Decio (che fu console nel 486 o nel 546 d.C.) e porta a ipotizzare l’attività di distruzione di almeno una parte del Foro già durante l’età tardoantica.

Di Cassius Ahenobarbus – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=25959182
Oggi, del Foro di Augusto resta un importantissimo sito archeologico, scavato soprattutto negli anni ’30 del Novecento, in concomitanza con la creazione di Via dei Fori Imperiali. Durante gli scavi sono stati rialzati alcuni elementi, ma erano rimasti in piedi una buona porzione del podio, insieme a tre colonne e una lesena, con relativa porzione del muro perimetrale del Foro, sostenenti un pezzo dell’architrave a tre fasce.
IL MITO DELLA GENS IULIA E DI ROMA
Il complesso del Foro di Augusto divenne un elemento urbanistico importante per la città di Roma, non soltanto per la sua posizione, ma anche per il suo ruolo di monumento pubblico all’interno della macchina della propaganda augustea. I significati espressi dalla posizione del Foro e dalla decorazione di quest’area amministrativa e del tempio di Marte sono molteplici.
D’altronde, oltre a essere stato il dio che aveva concesso la vittoria a Ottaviano (e Marco Antonio) nella battaglia di Filippi, permettendogli di vendicare Giulio Cesare, Marte era legato a Ottaviano anche in quanto suo mitico antenato. Lo schema proposto con le statue di Romolo, di Enea e dei summi viri (i più gloriosi e virtuosi cittadini romani), era la base della propaganda del Princeps. Sia nella decorazione dei portici del Foro che in quella del tempio veniva sottolineato il legame tra Enea, Romolo e Ottaviano, tra il fondatore della gens Iulia, quello della città e il rifondatore di Roma e della sua grandezza, mentre procede l’esaltazione della famiglia Giulia, i cui busti erano esposti insieme a quelli dei mitici antenati.
Il legame tra la leggenda di Enea e quella di Romolo veniva già raccontato dal primo “storico” di Roma, Fabio Pittore12, nel 200 a.C., ma venne ufficializzato proprio durante l’età augustea. Le immagini scolpite nel Foro di Augusto, e riprodotte in monumenti di varie città e colonie, andavano così a ricapitolare e a canonizzare la leggenda più utile alla propaganda augustea tra quelle che raccontano la fondazione di Roma. Enea, figlio di Venere e Anchise, fuggito da Troia in fiamme col padre e il figlioletto, dopo una serie di avventure13 approda alle sacre sponde del Latium Vetus. Fu suo figlio, Iulio Ascanio, a fondare quella mitica Alba Longa (città sacra a capo di un’alleanza di popoli latini) sulla quale regnerà una dinastia che terminerà con Numitore e Amulio (fratello e usurpatore del re). L’unione di Rea Silvia o Ilia, figlia di Numitore, con Marte darà vita ai gemelli Romolo e Remo. Tra i due, il primo fonderà la Città Eterna e sarà il progenitore della gens Iulia, alla quale appartenevano Giulio Cesare e Ottaviano.
In questo modo, Venere, madre di Enea, e Marte, padre di Romolo, che nella mitologia osserviamo spesso come amanti, divennero così i progenitori di Roma e dei Romani, garantendone la forza, la virtù, la fecondità e la prosperità.

Frammenti del gruppo scultoreo di Enea, Anchise e Iulio Ascanio dell’esedra settentrionale del Foro di Augusto, Musei dei Fori Imperiali, Mercati di Traiano, Roma (foto A. Patti)
Lo sguardo delle divinità, le cui statue abbellivano i porticati del Foro, dovevano sembrare ammirati spettatori della storia di Roma, la quale doveva apparire come un racconto chiaro e lineare, con uno svolgimento trionfale attraverso le statue delle grandi personalità romane, che venivano mostrate anche per influenzare e ispirare il comportamento dei cittadini.
LA PAX AUGUSTA
La pace imposta da Ottaviano venne legittimata attraverso numerosi simboli impressi nella decorazione del complesso, per renderla stabile attraverso il consenso popolare. Lo schema iconografico di Romolo nelle vesti di vincitore, con le spoglie di Acrone, è legato all’ideale raffigurazione di Ottaviano come trionfatore e conquistatore della pace. I girali d’acanto e le cornucopie, sulla lorica di Marte, sono i simboli della prosperità dovuta proprio alla pax augusta. La cornucopia, emblema di benessere e prosperità, la ritroviamo anche in altri monumenti celebrativi, come l’Ara Pacis (in uno dei rilievi è tra le braccia della Tellus) e il Caesareum di Afrodisia in Caria (dov’è tenuta in mano da un corpo in nudità eroica sul quale è stato posto un ritratto di Ottaviano Augusto).
La corona civica nello scudo dell’immagine sacra di Marte doveva ricordare quella ricevuta da Ottaviano nel 27 a.C., quando il Senato gli aveva accordato il titolo di augusto, cioè “degno di venerazione e di onore”, perché aveva “arricchito” Roma, dal latino augere (“accrescere”). La corona di quercia era un’alta onorificenza che veniva consegnata a chi salvava un concittadino in battaglia, e fu concessa a Ottaviano in quanto “salvatore dello Stato”. Dopo che Ottaviano Augusto l’adottò per ufficializzare la sua posizione sacra, fondata sul consensus universorum di Roma, l’emblema perse il suo antico significato per passare a simboleggiare il potere imperiale.

Busto di Augusto con corona civica. Marmo, altezza totale 50,5 cm. Databile all’età augustea. Oggi conservato alla Glyptothek Munich
Tuttavia, Augusto non venne mai platealmente celebrato come un dio quando era in vita (se non nelle province orientali): a Roma se ne venerava il genius (ossia il nume tutelare). Solo dopo la morte, Augusto, e dopo di lui ogni imperatore che non fosse caduto in disgrazia, fu trasformato in una divinità ufficiale.
STILE AUGUSTEO: TRA L’ARTE CLASSICA E LA TRADIZIONE ROMANA
Nel Foro di Augusto abbiamo numerose testimonianze di come l’arte augustea si rifacesse a quella della cosiddetta “età classica” (com’è identificata nella suddivisione delle epoche artistiche compiuta da Langlotz), quella del V secolo a.C., dell’Atene periclea.
La statua di Venere era quasi certamente classicheggiante, se non addirittura un’antica statua greca trasportata a Roma e riutilizzata nel tempio voluto da Ottaviano. Le cariatidi sull’attico dei porticati richiamano le Cariatidi della famosa Loggia dell’Eretteo, sull’Acropoli di Atene14. All’interno del tempio, la base delle colonne ricopiava la sagoma dei Propilei dell’Acropoli sopracitata e l’elmo della statua cultuale di Marte, all’interno del tempio, è simile a quello posto sul capo dell’Atena Parthenos (“vergine”), la statua crisoelefantina15 di Fidia posizionata dentro il Partenone.
Lo stile classicheggiante, apprezzato anche da un punto di vista artistico, nel I secolo a.C. era visto come “arcaico” e aveva una funzione ieratica in tutte le forme artistiche, dalla scultura alla letteratura, e andava a fondersi nel programma augusteo della pietas. Lo stile architettonico dell’arte augustea prendeva ispirazione da quella orientale adattandolo alle necessità e al gradimento dei romani, creando schemi decorativi originali (tramite l’utilizzo di nicchie, lesene, colonne, semicolonne, elementi figurativi, ecc) per la publica magnificentia.
La profusione di marmi, provenienti da tutte le province dell’Impero, testimoniava il gusto classicheggiante e il potere di Roma e dei suoi scambi commerciali. Inoltre, i tanti tipi di marmo utilizzati per le pavimentazioni segnavano le varie funzioni a cui erano destinati gli spazi, pratica che condusse alla definizione di ambienti “specializzati”. Oltre che ad aumentare la ricchezza scenografica, alla quale contribuivano in perfetto equilibrio tutti gli elementi della decorazione, non per ultimi gli ornamenti parietali di cui però non possediamo che pochi frammenti.

Ricostruzione con effetti di luce della pavimentazione marmorea del tempio di Marte Ultore (dallo spettacolo “Viaggio nei Fori – Foro di Augusto”, foto A. Patti)
L’eticità dello stile classico, catalogato a livello estetico sulla base di valori morali, con le sue caratteristiche di semplicità, chiarezza, grazia e leggerezza, andava a sottolineare gli ideali dei committenti e dei protagonisti e a suscitare emozioni in chi le guardava, come espressione di un rinnovamento culturale e religioso.
OTTAVIANO AUGUSTO E ALESSANDRO MAGNO
L’opera di Apelle, esposta nella sala del Colosso, non era l’unico cenno al famoso Alessandro Magno. Giove Ammone, il cui volto decorava i clipei dell’attico dei porticati, era ritenuto il mitico padre del conquistatore macedone. La sepoltura ad Alessandria d’Egitto (città fondata dal macedone stesso, che però non riuscì a veder nascere) era stata ammirata da Ottaviano, nel 29 a.C. (dopo l’assedio della città e la sconfitta definitiva di Marco Antonio e Cleopatra nel 30 a.C.).
Tra Ottaviano Augusto e Alessandro Magno, la propaganda augustea creò delle similitudini. Il primo, come il secondo, tornò vittorioso dall’Oriente, riportando le insegne perse da Crasso (un impresa che non era riuscita neppure a Marco Antonio), che vede nella statua loricata dell’Augusto di Prima Porta16 la più completa elaborazione.

Frammenti della decorazione dell’attico dei porticati del Foro di Augusto, Museo dei Fori Imperiali, Mercati di Traiano, Roma (foto A. Patti)
Inoltre, probabilmente il riferimento a Giove Ammone doveva strizzare l’occhio a quelle voci che indicavano Ottaviano Augusto come figlio di Azia e Apollo, unitosi alla donna nella forma di un serpente, così come era stato concepito Alessandro Magno (da Olimpia e Zeus tramutato in serpente). Questo probabilmente fu solo l’inizio di quella propaganda apollinea per la quale il tempio di Apollo fece parte della domus Augusti sul Palatino, un programma che il Princeps rispettò per tutti gli anni della sua vita.
IL FORO DI AUGUSTO OGGI
Molte delle immagini utilizzate in questo articolo sono state scattate durante uno spettacolo al quale ho personalmente assistito nell’Agosto del 2014, in occasione del bimillenario della morte di Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto.

Gradinate pronte per lo spettacolo “Viaggio nei Fori – Foro di Augusto”, Via Alessandrina, Roma (foto A. Patti)
Ancora oggi, nelle sere dei mesi estivi è possibile assistere a questo spettacolo di divulgazione molto suggestivo, stando seduti su delle gradinate collocate in Via Alessandrina, di fronte al Foro di Augusto. Attraverso il coordinamento della spiegazione registrata (una sorta di audio-guida) con l’uso di effetti speciali e luci proiettate direttamente sui monumenti, viene raccontata la storia di Ottaviano Augusto e del suo Foro. Il noto giornalista Piero Angela ha collaborato col fisico Paco Lanciano a questo progetto chiamato “Viaggio nei Fori”, che al momento vede il racconto dei Fori di Cesare e di Augusto. Se abitate a Roma o avrete la fortuna di andarci, vi consiglio di prenotare un posto per questo spettacolo, perché avrete l’occasione di vivere un’esperienza istruttiva ed emozionante.
Abbiamo visto come il Foro e il tempio di Marte Ultore avesse un’utilità a tutto tondo: un luogo sacro, amministrativo e una sorta di “cartellone pubblicitario” della propaganda augustea. Le decorazioni del Foro e del tempio di Marte uniscono riferimenti alle vicende del I secolo a.C. e richiami alle più antiche tradizioni, capaci d’influenzare anche il gusto del popolo: i simboli della vittoria augustea (come delfini, tritoni, Vittorie alate, ecc.) furono utilizzati anche dai privati cittadini per abbellire le proprie case.
Se il Senato, nei secoli precedenti, aveva dimostrato di non avere un’idea d’insieme della città che potesse mostrarla come degna capitale, Ottaviano Augusto fu il promotore più entusiasta di questa idea: sulla scia di Giulio Cesare, e dopo averlo vendicato, creò un piano di sviluppo urbanistico eccezionale. L’erezione d’infrastrutture e aree pubbliche maestose e imponenti, attraversate dai cortei trionfali e osservate delle ambascerie straniere, permisero a Roma di rivaleggiare con le più grandi città orientali. Tutto questo lo si doveva all’ingegno e all’abilità di un grande statista com’era Ottaviano Augusto.
NOTE
- Il Campo Marzio si trovava all’esterno delle mura serviane, ma all’interno di quelle aureliane costruite nel III secolo d.C.
- Sull’architettura, V, 1.
- Fasti, V, 563-566.
- Conosciamo il suo nome perché riportato nel “Carmen Saliare” (giunto a noi frammentato), che i Salii recitavano durante la danza sacra.
- Satire, XIV, 259.
- Fasti, V, 553-598.
- Vite dei Cesari, Augusto, XXIX, 2.
- Storia Romana, LV, 10, 2-4.
- Storia Romana LXIIIV, 10, 2.
- Vite dei Cesari, Claudio, XXXIII, 1.
- Fasti, III, 771-790.
- Plutarco, Vite parallele, Romolo, 3, 1
- Leggasi l’Eneide di Virgilio, racconto epico e fondamentale per la propaganda augustea!
- Secondo la tradizione, le cariatidi erano donne della Caria (in Laconia) ridotte in schiavitù dai Persiani. In ricordo di questa sottomissione, venne usato questo nome per designare, all’interno di strutture architettoniche, quelle statue di figure femminili usate per sostenere elementi orizzontali.
- Sculture realizzate in oro e avorio, dal greco χρῡσελεφάντινος (“chrȳselephántinos”).
- Copia marmorea di una statua bronzea realizzata poco dopo la vittoria sui Parti del 20 a.C.
Bibliografia
- Bejor, M. Castoldi, C. Lambrugo, Arte greca. Dal decimo al primo secolo a.C. (Collana Manuali), Mondadori, Milano 2008;
- Bessone, R. Scuderi, Manuale di Storia romana, Monduzzi, Bologna 2011;
- Bianchi Bandinelli, Introduzione all’archeologia (Collana Universale Laterza), Laterza, Roma-Bari 1975;
- Carandini, La fondazione di Roma raccontata da Andrea Carandini (Collana Economica Laterza), Laterza, Roma-Bari 2013;
- Carandini, La Roma di Augusto in 100 monumenti, UTET, Novara 2014;
- Cassio Dione Cocceiano, Storia Romana (Collana Classici greci e latini), trad. di A. Stroppa, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 2009;
- Ferrari, Dizionario di Mitologia, UTET, Novara 2015;
- Galinsky, Augustus. Introduction to the Life of an Emperor, Cambridge University Press, New York 2012;
- Decimo Giunio Giovenale, Satire (Collana Classici greci e latini), trad. di E. Barelli, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1976;
- Kockel, voce Forum Augustum, in E. M. Steinby (a cura di), “Lexicon Topographicum Urbis Romae”, II, Quasar, Roma 1995, pp. 289–295;
- Meneghini, R. Santangeli Valenzani (a cura di), Scavi dei Fori Imperiali. Il Foro di Augusto: l’area centrale (Collana Bullettino della commissione archeologica comunale di Roma. Supplementi), L’erma di Bretschneider, Roma 2010;
- Ovidio Nasone, Opere, vol. II, trad. di F. Stok, UTET, Novara 2013;
- Plutarco, Vite parallele, trad. di D. Magnino, UTET, Novara 1998;
- Svetonio Tranquillo, Vite dei Cesari (Collana Classici greci e latini), trad. di F. Dessì, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1982;
- Ungaro, Il Foro di Augusto, in M. De Nuccio, L. Ungaro (a cura di), “I marmi colorati della Roma imperiale”, Marsilio, Venezia 2002;
- Viscogliosi, L’architettura augustea, in E. La Rocca et al. (a cura di), “Augusto. Catalogo della mostra (Roma, Ottobre 2013 – Febbraio 2014; Parigi, Marzo – Luglio 2014)” (Collana Soprintendenza archeologica di Roma), Mondadori Electa, Milano 2013, pp. 106-117;
- Marco Vitruvio Pollione, Architettura (Collana Classici greci e latini), a cura di S. Ferri, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 2002;
- Zanker, Il Foro di Augusto, Fratelli Palombi, Roma 1984;
- Zanker, Augusto e il potere delle immagini, trad. di F. Cuniberto, Einaudi, Torino 1989;
- Zanker, Arte romana (Collana Grandi opere), trad. di M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 2008.