Il Tempio di Bellona in Circo

“Ipsa, facem quatiens ac flauam sanguine multo
sparsa comam, medias acies Bellona pererrat.
stridit Tartareae nigro sub pectore diuae
letiferum murmur, feralique horrida cantu
bucina lymphatas agit in certamina mentes.
his iras aduersa fouent crudusque ruente
fortuna stimulus spem proiecisse salutis:
hos dexter deus et laeto Victoria uultu
adridens acuit, Martisque fauore fruuntur.”
Silio Italico, Punica, IV, 438-442.
A Bellona, antica e italica divinità guerriera, che irrompe in battaglia incitando i soldati, unendosi al furore della guerra agitando una torcia e scagliando una lancia, fu costruito un tempio in onore di una promessa dal console Appio Claudio Cieco, ben famoso per la costruzione della Via Appia.
Perché lo scopo della dea Bellona era quello di combattere, sconfiggere i suoi nemici e vincere oltre ogni misura.
LA DEA BELLONA
Bellona, chiamata anche Duellona e Duelona, era la dea romana della guerra. Divinità dalle probabili origini sabine, simboleggiava in particolare lo spirito feroce che prende i combattenti durante una battaglia, il fervore che li rende amanti della violenza, capaci di compiere stragi e distruggere città.
Veniva spesso raffigurata mediante una figura femminile, stante, su un carro da battaglia, armata di elmo e scudo, con in mano una fiaccola, o una spada, oppure un’asta, o ancora una frusta. La sua iconografia doveva rappresentare l’incitamento dei soldati agli scontri militari. Silio Italico la definì “tartara”1, in riferimento alla più oscura regione degli Inferi, e la paragonò alle Eumenidi2 con le quali si accompagna, descrivendola con le chiome bagnate del sangue dei suoi nemici, mentre suona una tromba di guerra sconvolgendo le menti dei guerrieri per spronarli a combattere.

Busto di Bellona opera di Jean Cosyn (1697) sulla facciata del Teatro di Bellona a Bruxelles, Belgio (di Michel wal – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8021306).
Collegata al dio della guerra Marte, Bellona veniva indicata come sua figlia, o sorella, o compagna. Veniva anche identificata con Nerio, antica divinità italica associata al culto di Marte. Nella Roma imperiale venne di frequente identificata con Mâ, antica divinità orientale adorata in Cappadocia (regione dell’odierna Turchia), ma anche con la romana Virtus.
Il suo corrispettivo nell’Olimpo era Enio, il cui nome deriva dalla parola ένύω (“uccido”); una divinità forse nata da un epiteto del dio della guerra, Ares. Una versione del mito la indica come figlia di Forco e Ceto, famosi progenitori di mostri, soprattutto marini. Inoltre, nel mondo greco, spesso i poeti la confondevano con Pallade.
I membri del collegio sacerdotale della dea venivano chiamati Bellonari, Bellonae sacrati o Fanatici, per il loro atteggiamento esuberante durante la festa della dea, quando correvano per la città con le spade in mano. Le ferite che si autoinfliggevano questi sacerdoti simboleggiavano il fatto che la dea alla quale erano devoti poteva essere onorata esclusivamente attraverso un sacrificio di sangue.
IL TEMPIO DI BELLONA
Tito Livio3 scrisse che il tempio di Bellona era stato promesso alla divinità dal console Claudio Appio Cieco nel 296 a.C., come ringraziamento per la vittoria ottenuta sugli Etruschi. Questi ultimi avevano stretto un’alleanza coi Sanniti, durante la Terza Guerra Sannitica (298-290 a.C.) L’edificio venne dedicato esattamente il 3 Giugno, giorno particolare nel quale si celebrava la dea4.
Oggi il tempio si trova di fronte ai resti del Teatro di Marcello, nella zona sudorientale di quello che in epoca romana era il Campo Marzio.

La posizione del tempio di Bellona nell’attuale assetto urbano (da Google Maps, rielaborata da A. Patti).
Quella era la zona vicino a “un’agorà” come riporta Plutarco5 e come confermano i Mirabilia6, indicando il Foro Olitorio nei pressi del circo Flaminio; di quest’ultimo dal tempio si vedeva l’estremità orientale.
Collocato lungo la cosiddetta Via Triumphalis, il santuario di Bellona si trovava in un’area già ricolma di templi, come quello dedicato ad Apollo Sosiano, vicinissimo ma fuori dalle mura serviane della città.
L’aedes Bellonae doveva trovarsi tra il Circo Flaminio e il Petronia Amnis, il fiume a carattere torrentizio che attraversava il Campo Marzio e sfociava nel Tevere, considerato il confine degli auspici della città7. Un’ulteriore teoria, che tuttavia trova pochi sostenitori, indica invece la collocazione del tempio all’estremità occidentale del Circo Flaminio, nei pressi dell’attuale Piazza Paganica.
Proprio per la sua indiscutibile posizione extramuraria, la struttura fu necessaria a ospitare numerose riunioni del Senato che coinvolgevano ambascerie, capi di Stato e diplomatici stranieri8, soprattutto se non rappresentavano un popolo alleato di Roma. In questo luogo venivano solennemente salutati i proconsoli che partivano per governare la provincia che era stata loro assegnata9, e vi si accoglievano i generali vittoriosi per i quali si votava il trionfo10. In questa struttura venne chiamato a relazionare sull’assedio di Siracusa del 212 a.C. il console Marco Claudio Marcello, che aveva conquistato la città greca11.
Il tempio di Bellona era un senaculum: uno dei luoghi nei quali il Senato si riuniva, spesso dietro convocazione. Il Senato riunitosi nel tempio di Bellona dopo la convocazione di Silla potè sentire le grida dei prigionieri sanniti, catturati dopo la presa della città di Antemnae12 nella battaglia di Porta Collina13 dell’82 a.C. Lo storico Plutarco14 riportò che i prigionieri furono torturati e uccisi nel Circo Flaminio dagli uomini del nuovo tiranno di Roma, il quale minimizzava i forti lamenti affermando che stessero punendo dei malfattori.
I RESTAURI DI ETÀ ANTICA
Nel 79 a.C. il console Appio Claudio Pulcro, discendente del fondatore del tempio, rinnovò la decorazione del santuario, collocando le imagines clipeatae (ritratti su scudi) dei suoi antenati, rafforzando il legame tra il tempio e la gens che l’aveva voluto edificare15.
Una nuova ricostruzione è avvenuta in età augustea, e il dedicante ufficiale di questo nuovo tempio fu ancora una volta un discendente della gens Claudia: Appio Claudio Pulcro, console nel 38 a.C., parente di Livia Drusilla e grande alleato di suo marito, Ottaviano Augusto. Sebbene le fonti non riportino precise indicazioni temporali, è probabile che la ristrutturazione del tempio di Bellona sia avvenuta tra il 5 e il 15 d.C. Anche nel caso del rinnovamento di questo edificio templare, gli elementi architettonici dovevano richiamare il consenso della famiglia al comando: la gens Iulia. Ogni intervento architettonico sugli edifici di culto doveva rispecchiare il trionfo e la gloria del Princeps e della sua famiglia, anche a spese del dedicante vero e proprio. Poiché era grazie alla presenza di Augusto, il cui governo consentiva la pace, che simili operazioni architettoniche potevano essere eseguite.
Inoltre, anche come costruttore del tempio di Bellona, fra le altre imprese indicate nel suo elogium16, Appio Claudio Cieco veniva ricordato nell’esedra dei summi viri nel Foro di Augusto; in quel collegamento ideale tra le antiche generazioni e quelle viventi in età augustea, tutte impegnate a ricalcare la gloria di Roma.
I RESTI DEL TEMPIO DI ETÀ AUGUSTEA
Dalla pianta impressa nella Forma Urbis Severiana, sappiamo che l’aedes Bellonae nell’area del Foro Olitorio era largo quasi 25 m. e lungo più di 46 m. Era periptero (circondato da un colonnato su tutti i lati) ed esastilo: aveva 6 colonne in marmo lunense a decorare i lati corti, mentre 11 in travertino dipinto fiancheggiavano i lati lunghi dell’edificio.
Orientato in asse nord-sud, dalla struttura canonica dei templi etrusco-italici aveva ereditato la lunga scalinata frontale inframmezzata dall’altare sul quale si svolgevano i sacrifici dedicati alla dea.

Decorazione floreale della cornice del tempio di Bellona in Foro, nella loggia della casa di Flaminio Ponzo, Roma (di Lalupa – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28015013).
Ciò che resta del tempio dedicato alla dea della guerra sono le tracce di un podio, nei pressi del Teatro di Marcello, scoperti proprio durante i lavori per la sistemazione dell’area del teatro, eseguiti intorno al 1930.
Questo podio sorreggeva l’edificio templare ricostruito in epoca augustea, realizzato quando l’area fu interessata dai lavori per la costruzione del Teatro da dedicare al nipote di Ottaviano Augusto: Marco Claudio Marcello, figlio di Ottavia e primo marito di sua cugina Giulia, figlia di Augusto.
Il podio è costruito in opus caementicium (opera cementizia) tra dei pilastri in opus quadratum (opera quadrata), dei quali resta poco, poiché vennero presi e riutilizzati come materiale di reimpiego. Oltre alle colonne, come già scritto, anche le pareti dovevano essere costituite in parte in marmo lunense e in parte in travertino, decorate in colori vivaci, come il giallo e l’azzurro, similmente al vicino tempio di Apollo Sosiano.
L’unico indizio di datazione del tempio augusteo potrebbe risultare il capitello d’anta decorato con una palma, i datteri e le corazze. Sono elementi decorativi che potrebbero essere un riferimento alla conquista della provincia della Giudea, avvenuta nel 6 d.C.

L’area archeologica del Teatro di Marcello, coi resti dei templi di Apollo Sosiano e di Bellona, Roma (foto di A. Patti).
All’interno della cella doveva essere collocata la statua di culto: una colossale scultura in marmo di Paros raffigurante Bellona. Due frammenti sono stati rinvenuti in loco. Il primo è rilevabile come la porzione superiore del braccio destro, il secondo è identificabile con la parte superiore dell’avambraccio destro. L’inizio della piegatura del gomito visibile nel primo frammento e l’attaccatura del braccio osservabile nel secondo permettono d’ipotizzare con abbastanza sicurezza che il braccio della statua fosse piegato.
Non sappiamo quale posa potesse avere la statua di culto di Bellona, poiché non sono giunte a noi raffigurazioni certe della dea, dato che spesso veniva identificata con Pallade, Virtus e la dea Roma stessa. Di base esisteva una contaminazione nella rappresentazione di divinità guerriere o personificazioni della guerra, come Bellona e Minerva ad esempio. Sappiamo che durante i rituali in onore di Bellona, la sua statua veniva bagnata col sangue17.
L’unica altra scultura conservata nel tempio di Bellona di cui abbiamo notizia è una statua equestre , voluta da Antonino Pio, in onore di Farasmane, re degli Iberi18.
Il fatto che nei giornali di scavo sia indicato che i due frammenti della statua di culto sono stati trovati tra terra bruciata, fa ipotizzare che un incendio abbia distrutto il tempio e il simulacro che esso custodiva.

Planimetria dell’area meridionale del Campo Marzio (di Cassius Ahenobarbus – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=36524552, rielaborazione di A. Patti).
LA COLUMNA BELLICA
Proprio di fronte al tempio di Bellona era stata posizionata la cosiddetta columna bellica, chiamata anche la Guerriera: era una colonna usata durante il cerimoniale della dichiarazione di guerra chiamata rerum repetitio.
Secondo le più antiche usanze romane, quando Roma doveva dichiarare o rispondere a un atto di guerra, il Pater Patratus si avvicinava ai confini del territorio dei nemici e intimava loro la restituzione di quanto tolto ai Romani entro un limite di tempo. Se questo non veniva rispettato, una volta scaduto il tempo si svolgeva la cerimonia della indictio belli: la vera e propria dichiarazione di guerra. Il Pater Patratus scagliava una hasta (“lancia”) dal territorio romano a quello dei nemici dello Stato. Il Pater Patratus era a capo dei Feziali: il collegio sacerdotale preposto allo ius fetiale19, avente mansioni di ministro degli esteri.
Tuttavia, quando Roma dovette scontrarsi con Pirro, re dell’Epiro, un regno non confinante con quello della Repubblica romana, venne creato un escamotage per rispettare il sacro cerimoniale: un soldato di Pirro, che si trovava a Roma in qualità di prigioniero di guerra, venne costretto ad acquistare un piccolo appezzamento di terreno affinché rappresentasse il suolo del nemico. All’interno dell’area fu eretta una colonna, probabilmente lignea, quale rappresentante del territorio nemico e contro la quale scagliare la lancia20.

Fig. 6: L’area archeologica del Teatro di Marcello, coi resti del tempio di Bellona e del portico sulla Via Triumphalis, Roma (foto di A. Patti).
L’usanza di scagliare una lancia come dichiarazione di guerra rimase attiva per tutta la storia di Roma, sostituendo la colonna lignea con una marmorea, collocata esattamente di fronte al tempo, in corrispondenza di un’area circolare pavimentata in basolato.
Cassio Dione21 raccontò che il Senato fece eseguire il rituale della lancia ai Feziali, quando promosse la guerra contro Cleopatra (e Marco Antonio) nel 31 a.C. La stessa fonte22, riporta che l’imperatore Marco Aurelio in persona scagliò la lancia, quando Roma dovette fronteggiare i Marcomanni nel 179 d.C.
LE STRUTTURE VICINE AL TEMPIO DI BELLONA
Nella stessa area, proprio di fronte al tempio di Apollo Sosiano, si trovava anche un altro edificio con funzioni militari: il perirrhanterion, dove si svolgevano le cerimonie di purificazione al termine delle campagne belliche.

Ricostruzione dell’area templare di fronte il Teatro di Marcello, coi templi di Apollo Sosiano e Bellona (di Larry Koester – Theater of Marcellus, Temple of Apollo Sosianus, and Temple of Belona – past, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=71985165).
Infine, va sottolineato come il lato settentrionale e il lato orientale dell’area sacra dell’aedes Bellonae fossero chiusi da un porticato largo circa 7 m. con un pavimento in travertino. Aperto su entrambi i lati, era ornato da una doppia fila di pilastri in peperino e laterizio rivestiti di stucchi, con semicolonne sul lato esterno e paraste su quello interno. Realizzati in travertino, questi pilastri sorreggevano archi a tutto sesto, chiusi nel corso del I secolo d.C. con muri in opus mixtum23. Questa struttura confinava con il vicino Portico d’Ottavia ed era probabilmente collegato al portico del Foro Olitorio.
Sono stati trovati infatti i resti di un’altra simile struttura poco distante da questa, per le quali è stato ipotizzato la funzione di camminamento pedonale coperto, a fiancheggiare le strade.
È probabile che uno degli ambienti vicino il portico fosse un balneum, ovvero una sala termale. Sui suoi resti furono costruite delle stanze connesse con la vicina Chiesa di Sant’Angelo in Pescheria.

Fig. 8: Resti del porticato vicino il tempio di Bellona (di Lalupa – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28015026).
La scoperta dei resti dell’aedes Bellonae si deve ai lavori di ristrutturazione avvenuti negli anni ’30 del Novecento, riguardo alla Chiesa di Santa Rita da Siena in Campitelli e del palazzetto di Flaminio Ponzio, il quale poggia su un’antica insula romana. La chiesa sopracitata insiste sui resti del podio, dopo essere stata spostata in questo luogo dalla sua originale collocazione in Campidoglio.
Lo stile architettonico che dominava il tempio nella sua ultima fase, quella augustea, è quello dell’edilizia civile monumentale, d’ispirazione ellenistica ma declinata nel contesto romano e nella tradizione italica. Insomma, il tempio di Bellona doveva essere un edificio imponente, appartenente alla più grande tradizione etrusco-italica influenzata dall’arte ellenistica.
Come ogni divinità, anche Bellona veniva onorata e invocata, soprattutto nei momenti di difficoltà: essa dava la forza ai soldati di combattere e di vincere. Era una divinità fondamentale per un popolo come quello Romano, che fin dal VI secolo a.C. cominciò una politica espansionistica, attraverso guerre di conquista e strategie di controllo geopolitico del territorio, che lo portò a essere già nel III secolo a.C. la potenza dominatrice della penisola italica, e poi il più grande impero a propensione universale prima della Seconda Guerra Mondiale.
Antonietta Patti
Archeologa
NOTE
- Punica, IV, 436-442; V, 220-228.
- Le dee romane della vendetta, chiamate anche Erinni e Furie. Nate dal sangue di Urano, sparso da Crono quando lo evirò, vivevano nel Tartaro e imponevano il loro castigo in special modo agli assassini di familiari, a chi violava l’ospitalità, infrangeva un giuramento e ingannava i più deboli.
- Storia di Roma dalla sua fondazione, X, 19.
- Ovidio, Fasti, VI, 199-208.
- Vite Parallele, Silla, 32.
- Databili al 1140-1143, giunti a noi tramite il Liber Polypticus, scritto da Benedetto, canonico della Basilica di San Pietro.
- Ogniqualvolta i magistrati lo attraversavano per partecipare ai comitia centuriata gli era richiesto che prendessero gli auspicia peremnia.
- Storia di Roma dalla sua fondazione, XXX, 21, 39; XXXIII,24; XXXVI, 39; XLII, 36.
- Storia di Roma dalla sua fondazione, XXXVIII, 44; XLI, 6.
- Storia di Roma dalla sua fondazione, XXVI, 21; XXXIII, 9, 22, XXXIX, 29; XLI, 9, 21, 28.
- Ibidem.
- Antemnae fu un oppidum (un villaggio fortificato) situato sul Monte Antenne, i cui resti sono stati individuati all’interno di Villa Ada a Roma.
- La battaglia di Porta Collina fu combattuta dalle legioni romane, guidate da Lucio Cornelio Silla e Marco Licinio Crasso, contro le truppe sannitiche e lucane guidate da Ponzio Telesino in marcia su Roma con l’obbiettivo di distruggerla.
- Vite Parallele, Silla, 29-30.
- Plinio il Vecchio, Storia Naturale, XXXV, 12.
- L’elenco dei meriti che accompagnava il titulus, ovvero la targa col nome e le tappe della carriera pubblica, poste sotto ogni statua dei summi viri.
- Tibullo, Elegie, I 6, 45-50.
- Cassio Dione, Storia Romana, LXIX, 15, 3.
- Il diritto sacro riguardo alle dichiarazioni di guerra e ai trattati di alleanza (foedus).
- Ovidio, Fasti, VI, 205-208.
- Storia Romana, L, 4.
- Cassio Dione, Storia Romana, LXXI 33.
- Opera mista, una tecnica edilizia che mischia l’opera reticolata e l’opera laterizia sullo stesso setto murario. Impiegata soprattutto in epoca traianea e adrianea (fine I – inizi II secolo d.C.).
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- C. A. Vanzon, Dizionario universale della Lingua Italiana ed insieme di Geografia (antica e moderna); Mitologia; Storia (sacra, politica ed ecclesiastica); Biografia; Antiquaria, Storia naturale; Marina, Arte militare; Architettura; Meccanica; e di tutti i vocaboli di origine greca, usati nella Medicina, Anatomia, Chirurgia, Farmacia, Chimica, Fisica, Astronomia, Teologia, Giurisprudenza e Commercio, tomo II, Tipografia Demetrio Barcellona, Palermo 1840, p. 113;
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