La società romana era profondamente patriarcale, dominata dalla figura del pater familias, il capofamiglia maschio, che deteneva autorità sia in ambito domestico sia in quello pubblico e politico.
Per quanto riguarda la donna romana, nel periodo arcaico e repubblicano, essa era confinata principalmente all’ambito domestico, la domus, dove si occupava delle faccende casalinghe e dell’educazione dei figli, inculcando loro il mos maiorum, ovvero i valori della tradizione romana. Nonostante fosse limitata prevalentemente alla sfera domestica, la donna poteva uscire per fare acquisti o partecipare a banchetti, ma non le era permesso distendersi o consumare vino; poteva soltanto bere il mulsum, un mix di vino e miele servito all’inizio dei pasti.
La donna romana era educata a valori come pudore, modestia e discrezione, e solitamente veniva data in sposa molto giovane a un uomo scelto dalla sua famiglia. I matrimoni per amore esistevano, ma la maggior parte erano combinati. Tipicamente, il fidanzamento prevedeva la donazione di un anello (anulus pronubus) da parte del futuro sposo alla sua promessa e di una somma di denaro al futuro suocero, a simboleggiare l’impegno preso. Alla vigilia del matrimonio, la sposa dedicava i suoi giocattoli infantili agli dei Lari o a Venere. Il giorno delle nozze, copriva il capo con un flammeum, un velo arancione, decorato con una corona di mirto e fiori d’arancio, e indossava una tunica senza cuciture (tunica recta), con i capelli divisi in sei trecce. La cerimonia includeva un sacrificio a divinità, condotto da un auspice che esaminava le viscere dell’animale sacrificato per assicurarsi del favore degli dei. I matrimoni erano sanciti dalle tabulae nuptiales, firmate davanti a dieci testimoni, e la pronuba, una donna che doveva essere stata sposata una sola volta, univa le mani degli sposi (dextrarum iunctio) per simboleggiare la loro fedeltà reciproca.
La posizione della donna era chiaramente subordinata rispetto a quella dell’uomo, dipendendo da figure maschili come il padre, il marito, il fratello o il figlio maggiore in caso di vedovanza. In situazioni di adulterio, il marito aveva potere di vita o morte sulla moglie. Se sorpresa a bere vino, la donna poteva essere severamente punita, poiché l’ebbrezza era vista come preludio al tradimento. D’altra parte, il marito aveva la libertà di avere relazioni extraconiugali con schiave, libertae o prostitute.
In un passaggio di Marco Porcio Catone, riportato da Aulo Gellio, emergono le concezioni romane arcaiche riguardo l’adulterio, differenziando nettamente le conseguenze per uomini e donne:
«[…] se scopri tua moglie in adulterio, puoi ucciderla impunemente; se invece sei tu ad essere infedele, lei non deve nemmeno toccarti, non ne ha il diritto».
I Romani adottavano pene severe per le adultere, inclusa l’esilio in un’isola. In questo caso, la donna perdeva metà della sua dote e un terzo del suo patrimonio, le era vietato risposarsi, testimoniare in tribunale e indossare la stola delle matrone, dovette invece portare la toga infamante delle prostitute.
Per quanto riguarda i diritti civili, solo gli uomini avevano il diritto di voto e di partecipazione attiva in politica. Le donne, escluse da tali diritti, necessitavano del consenso di un tutore maschile per esercitare attività legali quali ereditare, sposarsi o redigere un testamento. Queste restrizioni erano giustificate dalla presunta ignoranza delle donne in materia legale e dalla supposta inferiorità intellettuale femminile rispetto a quella maschile.
Tuttavia, nel corso dei secoli, la condizione delle donne romane migliorò progressivamente. Un esempio significativo di tale evoluzione è la protesta contro la Lex Oppia del 215 a.C., una legge che limitava il lusso femminile imponendo restrizioni sull’oro posseduto, i colori degli abiti e l’uso delle carrozze. Le donne iniziarono a rivendicare e migliorare i propri diritti con maggiore veemenza.
Già verso la fine dell’età repubblicana, le donne acquisirono il controllo sui propri beni e iniziarono a dedicarsi agli studi. In età imperiale, con un allentamento delle pressioni morali, vi fu un notevole miglioramento nella qualità della vita delle donne, specialmente quelle di classe alta, che si distanziarono sempre più dalle mansioni domestiche e dall’educazione diretta dei figli, affidata a tutori e schiavi, per dedicarsi a banchetti e feste. La resistenza delle donne romane all’idea della maternità crebbe, sia per timore dei cambiamenti fisici sia per l’alto rischio di mortalità materna. Augusto, verso la fine del primo secolo, cercò di stimolare le nascite tra i cittadini romani incentivando le donne sposate a procreare, promettendo la liberazione dalla tutela maschile dopo la nascita di tre figli. Le donne nubili tra i 18 e i 50 anni, invece, erano escluse dal diritto di eredità se rimanevano senza marito.
Durante l’epoca imperiale, le donne romane cominciarono a vestirsi con abiti di seta e ad adornarsi con tacchi e gioielli, dedicando molte ore alla cura personale, utilizzando cosmetici, trucchi, profumi e acconciature sofisticate.
Parallelamente, vi furono cambiamenti significativi nei diritti civili delle donne romane, anche se rimasero escluse da cariche pubbliche e religiose. Una delle principali evoluzioni si verificò nel campo del diritto matrimoniale. Mentre il matrimonio tradizionale romano cum manus comportava il passaggio della donna sotto la potestà del marito, a partire dal II secolo a.C. si diffuse il matrimonio sine manu, basato sul consenso reciproco. Anche il divorzio subì trasformazioni: se in origine era prerogativa maschile, dal I secolo a.C. divenne una pratica più liberale e accessibile anche alle donne.
L’istruzione femminile divenne più diffusa e valorizzata, riconoscendo che una donna istruita poteva essere una madre migliore. Pertanto, le donne di classi elevate spesso ricevevano un’educazione formale.
Esempi notevoli di donne influenti di quest’epoca includono:
- Vibia Sabina, moglie dell’imperatore Adriano, vissuta circa dal 86 al 136-137.
- Poppæa Sabina, moglie dell’imperatore Nerone, vissuta circa dal 30 al 65.
- Faustina Minore, figlia di Antonino Pio e Faustina Maggiore, moglie di Marco Aurelio e madre di Commodo, nata intorno al 130 e morta nel 176.
- Giulia Domna, moglie di Settimio Severo, nata ad Emesa nel 170 e morta ad Antiochia di Siria nel 217.
- Salonina Matidia, nipote di Traiano e suocera di Adriano, nata il 4 luglio 68 e morta il 23 dicembre 119.
- Agrippina Minore, moglie di Claudio e madre di Nerone, nata il 6 novembre 15 e morta nel marzo del 59.
- Livia Drusilla, moglie di Augusto, nata il 30 gennaio 58 a.C. e morta il 28 settembre 29.
- Annia Aurelia Galeria Lucilla, figlia di Marco Aurelio e moglie di Lucio Vero, sorella di Commodo, nata il 7 marzo 150 e morta nel 182.
- Agrippina Maggiore, figlia di Marco Vipsanio Agrippa e madre di Caligola, nata il 23 ottobre 14 a.C. e morta il 18 ottobre 33.
- Plotina, moglie dell’imperatore Traiano, nata a Nemausus intorno al 65/70 e morta nel 121.