Ci troviamo in Via Merulana, proprio di fronte allo storico Teatro Brancaccio di Roma. Qui, un edificio apparentemente anonimo, con una moderna tettoia, cattura la nostra attenzione. Pochi sono a conoscenza del fatto che ciò che sembra una struttura priva di rilevanza è in realtà l’unica testimonianza architettonica e archeologica della straordinaria domus di Mecenate. A parte alcune opere statuari e frammenti decorativi custoditi nei musei, questo luogo rappresenta ciò che rimane del lussuoso complesso appartenuto a Mecenate, il ricco e colto mecenate del tardo I secolo a.C. Mecenate, attraverso le arti, svolse un ruolo cruciale nella propaganda politica di Ottaviano Augusto, il princeps di Roma e primo imperatore dell’Urbe. Questo edificio è noto come l’Auditorium di Mecenate.
Ci troviamo nel quartiere Esquilino, a breve distanza da Santa Maria Maggiore. Ai tempi di Mecenate, figura di spicco di origini etrusche, l’Esquilino rappresentava quasi una zona di confine. Il colle, infatti, era attraversato dalle Mura Serviane, la prima cerchia muraria eretta per proteggere la città. Non è quindi un caso che Mecenate abbia scelto questo luogo per costruire la sua domus: situata in una posizione particolare, parzialmente all’interno e parzialmente all’esterno delle mura cittadine, e sfruttando i fossati e le mura stesse, Mecenate era sicuro di ottenere un solo risultato: la tranquillità. Come molti uomini dell’alta società dell’antica Roma, desiderava una residenza lontana dal trambusto e dagli odori sgradevoli del centro. Un po’ come oggi si cercano case al mare o ville lussuose in località esclusive, anche Mecenate e altri illustri membri dell’aristocrazia romana aspiravano a una dimora sontuosa e decorata, in cui potessero rilassarsi in pace, immersi nella natura. L’Auditorium di Mecenate rappresenta solo una piccola parte del vasto complesso architettonico che costituiva la sua residenza ai margini della città. Le fonti antiche e altri esempi simili ci permettono di affermare con certezza che la dimora includeva quello che oggi chiamiamo auditorium, oltre a piscine, numerosi edifici destinati agli ospiti o alla servitù, e ampi giardini con boschetti, parchi, alberi e fiori.
I giardini dovevano essere numerosi e certamente arricchiti da decorazioni di grande pregio, come mosaici o sculture in marmo di altissima qualità, spesso anche policrome. Questo rappresenta un classico esempio di hortus, il giardino o l’insieme di giardini che impreziosivano e caratterizzavano le vaste residenze dei ricchi cittadini romani. Questi spazi verdi non solo erano adornati da opere d’arte, come statue, ma ospitavano anche una grande varietà di specie floreali e arboree. Esisteva un’arte specifica, l’ars topiaria, dedicata allo studio e alla cura delle piante e degli alberi, spesso modellati in forme antropomorfe o ispirate alla natura, per abbellire ulteriormente i giardini. Questo sottolinea quanto fosse centrale il ruolo della natura: in un ambiente in cui Mecenate ospitava amici, parenti e persone con cui era strategico mantenere relazioni, creare un’atmosfera serena era essenziale. La presenza della natura, anche all’interno dell’auditorium, era per gli antichi romani il modo più efficace per ottenere questo effetto.
Ma ora, prima di andare avanti e capire cosa davvero fosse l’Auditorium di Mecenate, è giusto stilare un piccolo profilo del padrone di casa, che fece la fortuna di Augusto e non solo.
Mecenate
Le fonti antiche ci offrono molte informazioni su Mecenate, anche se spesso sono influenzate da punti di vista parziali. Ancora oggi, il termine “mecenate” evoca l’immagine di un uomo devoto alle arti, un sostenitore di artisti, un grande committente, e una persona con un profondo apprezzamento per la bellezza artistica. Questa, forse, era la qualità più distintiva di Gaio Cilnio Mecenate, il suo nome completo: la capacità di comprendere e sfruttare l’arte. In un’epoca priva di mass media, erano la pittura, la scultura, l’architettura e la letteratura, attraverso odi, poesie, panegirici e poemi, i mezzi più efficaci per veicolare i messaggi delle élite, come re, imperatori, senatori, proprietari terrieri o nobili. E Mecenate era perfettamente consapevole di questo. Fu lui a creare un circolo letterario, che abbracciava anche altre forme d’arte, e che annoverava tra i suoi membri personalità come Orazio e Virgilio, solo per citarne due. Mecenate non era solo un mecenate nel senso comune del termine, ma un vero esperto in tutte le forme d’arte. Spesso, infatti, offriva consigli e orientava le carriere degli artisti sotto la sua protezione, con un occhio al proprio vantaggio personale, a quello di Augusto, o alla sua concezione della bellezza. Grazie a queste figure, come gli scrittori menzionati, Augusto riuscì a diffondere l’immagine di sé che costituiva il nucleo della sua propaganda politica.
Grazie all’opera di Virgilio e alla sua Eneide, Augusto poté enfatizzare la sua presunta discendenza divina, rafforzando ulteriormente la percezione di essere l’uomo ideale per guidare Roma verso una nuova era. Un aspetto fondamentale del profilo di Mecenate era proprio il suo stretto rapporto di fiducia con Ottaviano Augusto. Mecenate fu una figura estremamente influente e uno dei principali consiglieri del primo imperatore di Roma, anche se molti aspetti della sua vita rimangono tuttora poco conosciuti. È noto che proveniva da una famiglia di origini etrusche e che possedeva una grande ricchezza, probabilmente in gran parte ereditata. Le sue origini, o forse il suo carattere, lo rendevano una figura controversa agli occhi di molti romani. Mecenate era infatti considerato da alcuni troppo raffinato e, per certi versi, effeminato, con uno stile di vita distante dalla rudezza e dal senso di patria che caratterizzavano l’ideale romano. Si racconta che trascorresse gran parte del suo tempo tra banchetti e feste, concentrato più sulle arti, la filosofia e la poesia che sulla politica. Tuttavia, Gaio Cilnio Mecenate non era affatto ingenuo: il suo mecenatismo artistico, sebbene alimentato da un genuino interesse, era anche frutto di un preciso calcolo politico. È possibile che egli credesse fermamente nella necessità di superare l’ormai decadente Repubblica, responsabile di tanti disordini per Roma. Forse fu proprio questa convinzione a spingerlo a sostenere, con la sua abilità nel costruire relazioni e nel gestire la comunicazione artistica, Ottaviano Augusto, destinato a diventare il dominatore di Roma alla fine del I secolo a.C.
Ora che abbiamo cercato di comprendere meglio la personalità di Mecenate, possiamo immaginare come doveva apparire il suo Auditorium. Anche se dall’esterno l’edificio può sembrare piuttosto semplice, è solo entrando al suo interno che ci si trova immersi nell’arte della fine del I secolo a.C., riflesso del gusto raffinato di Mecenate e, più in generale, di un uomo ricco e colto dell’epoca. Le sorprese che si celano all’interno sono davvero molte!
Auditorium
Si accede a questo ambiente semi-sotterraneo attraverso una rampa di scale, in parte ancora originale, il che di per sé è già notevole, come si dice spesso a Roma. Anche nel I secolo a.C., l’Auditorium di Mecenate era in parte sotterraneo, accessibile tramite due rampe di scale (una delle quali è andata perduta) e coperto da una volta, oggi sostituita da una moderna tettoia. Questo spazio era probabilmente collegato tramite corridoi ad altre stanze della vasta residenza di Mecenate, il ricco etrusco. L’Auditorium è costituito da una grande sala di 13 metri di larghezza e 24 metri di lunghezza, con una particolarissima gradinata su uno dei lati corti, su cui ci soffermeremo tra poco. Lungo i lati lunghi si aprono delle nicchie che ancora conservano tracce di pitture originali del I secolo a.C., che sono tra i tesori più straordinari del luogo. Si può notare una banda nera che corre lungo le pareti della sala e un rosso cinabro, ancora perfettamente conservato, che testimonia la ricchezza e il lusso del proprietario: questo particolare tipo di rosso e il minerale da cui veniva estratto erano estremamente costosi. È avvicinandosi alle nicchie, o osservando le finte finestre sopra la gradinata, che si può apprezzare appieno l’arte della Roma antica alla fine della Repubblica.
Tutto è un’illusione: il cielo, le balaustre, gli alberi e le piante non sono altro che dipinti, ma l’effetto di profondità che creano è straordinario e coinvolgente. Ogni nicchia appare come una finestra spalancata su un giardino, dando l’impressione che l’intero edificio sia immerso nella natura circostante (ricordate come la natura fosse centrale in questo contesto?). Questa decorazione pittorica sottolinea uno degli scopi principali dell’Auditorium di Mecenate: celebrare il concetto di otium, così caro ai Romani. Per loro, esisteva un tempo dedicato al lavoro (negotium) e uno riservato al meritato riposo (otium). Ed è proprio qui che emergono, ancora una volta, i temi del ristoro e del riposo, sia fisico che spirituale. Le pareti, apparentemente sfondabili, sono in realtà frutto di una meravigliosa illusione ottica, una prospettiva che crea una terza dimensione laddove dovrebbe essercene solo una (poiché un muro, in fondo, non ha profondità). Questa esaltazione dell’otium in una sala che, ancora oggi, suscita dibattiti. Qual era, davvero, la funzione dell’Auditorium di Mecenate?
Ipotesi
Considerando che oggi ci resta solo questa sala spoglia, con le sue nicchie e gli affreschi magnifici, non è semplice determinare quale fosse l’effettiva funzione dell’ambiente. È soprattutto la gradinata a suscitare discussioni, poiché la sua funzione potrebbe differire significativamente da quella tradizionale. Ecco, dunque, le due principali ipotesi sulla vera destinazione d’uso dell’Auditorium di Mecenate:
AUDITORIUM: Il nome stesso suggerisce che questa sala potesse essere destinata alle attività legate alla vera passione del suo proprietario: le arti. È possibile che nelle nicchie fossero custodite numerose pergamene, a disposizione degli ospiti di Mecenate e di lui stesso, trasformando così la sala in una sorta di biblioteca privata. L’intera domus di Mecenate, con la sua sontuosità e le sue decorazioni raffinate, doveva impressionare per la sua bellezza e magnificenza. E cosa potrebbe essere più suggestivo di una biblioteca situata in un ambiente semi-sotterraneo? Le pergamene potrebbero aver contenuto non solo opere classiche, filosofiche o satiriche, ma anche i testi scritti dagli artisti protetti e finanziati da Mecenate stesso. Tuttavia, la lettura potrebbe essere stata solo una delle attività che si svolgevano in questa sala. In un vero auditorium, infatti, si tenevano diverse attività. Si potevano organizzare dibattiti filosofici o poetici, esibizioni musicali, e persino performance teatrali, con attori che avevano l’opportunità di esprimere al meglio il loro talento. La gradinata potrebbe quindi aver funzionato come una piccola cavea privata, simile a quella di un teatro. Immaginate l’atmosfera: in un ambiente affrescato come se fosse immerso in un giardino all’aperto, grazie all’illusione prospettica creata dalle pitture murali, si potevano trascorrere le giornate assistendo a spettacoli, ascoltando musica, discutendo di morale e virtù, o ascoltando la declamazione di poemi, versi satirici o prose. In sintesi, l’auditorium potrebbe essere stato uno spazio interamente dedicato alle arti, pensato appositamente per queste attività. E considerando il carattere e gli interessi di Mecenate, questa ipotesi appare del tutto plausibile. Ma c’è ancora un altro aspetto da considerare: al punto 2 scopriremo come, nella Roma antica, un uomo ricco poteva sorprendere i suoi illustri ospiti.
NINFEO: Oggi è ormai ampiamente accettata l’idea che l’Auditorium di Mecenate fosse in realtà un magnifico ninfeo, uno spazio straordinario in cui l’acqua era l’elemento centrale. I ninfei erano comuni nelle dimore dei ricchi, che potevano permettersi di creare ambienti in cui l’acqua, con i suoi giochi e riflessi, diventava protagonista. Un ninfeo, nella sua forma più semplice, era un ambiente spesso concepito come una grotta artificiale, con vasche, piccole piscine, fontane o giochi d’acqua pensati per rinfrescare l’aria e favorire l’otium. Le dimensioni, la complessità dei giochi d’acqua e altre caratteristiche potevano variare, ma l’essenza rimaneva quella. Alcuni scavi archeologici hanno rilevato la presenza di fori e tubi di piombo sulla sommità della gradinata, che indicano chiaramente il passaggio dell’acqua. Inoltre, l’intera sala è pavimentata in cocciopesto, un materiale altamente resistente all’acqua e con eccellenti proprietà drenanti, utilizzato frequentemente dai Romani nelle terme. Tutto ciò suggerisce che l’acqua fosse effettivamente l’elemento dominante nell’Auditorium di Mecenate. La gradinata, quindi, non era una cavea teatrale, ma un grande ninfeo, dove l’acqua scorreva dall’alto, rimbalzando sui gradini un tempo ricoperti di lastre marmoree, per poi raggiungere il pavimento. Da lì, l’acqua defluiva attraverso canaline e, probabilmente, veniva riutilizzata, indicando la presenza di un sofisticato sistema idraulico sotterraneo. I ninfei erano un simbolo di prestigio per l’aristocrazia romana, e proprio per questo, nel corso dei secoli, specialmente durante il Rinascimento, molte famiglie nobili arricchirono le loro ville e palazzi con ninfei decorati con mosaici o vetri policromi, ricreando ambienti naturali e cavernosi.
L’Auditorium di Mecenate si rivela essere un luogo ricco di storie e significati, capace di trasmettere molto del carattere del suo illustre proprietario e dell’autocompiacimento tipico della tarda età repubblicana. Attraverso gli affreschi che creano illusioni prospettiche e il concetto di otium, il sito riflette le attività che vi si svolgevano, esaltando l’arte del tempo. Tuttavia, prima di concludere questa esplorazione di uno dei luoghi più affascinanti di Roma, vorrei menzionare un piccolo gioiello nascosto.
Sull’altro lato corto dell’Auditorium, opposto alla gradinata del ninfeo, si trovano alcune lastre marmoree curiose, segnate da punti e linee. Con un po’ di attenzione, si può notare che queste incisioni riproducono, su marmo, piante architettoniche di edifici e colonnati. Ciò che avete davanti sono frammenti della celebre Forma Urbis Severiana. Ma cos’è esattamente? Si tratta di un’enorme mappa marmorea risalente agli inizi del III secolo d.C., così chiamata in onore dell’imperatore Settimio Severo, che adornava un muro di un edificio nel Foro della Pace, voluto dagli imperatori della gens Flavia, tra cui Vespasiano, Tito e Domiziano.
Questa mappa non era una semplice decorazione, ma una dettagliata rappresentazione catastale della città di Roma. Grazie a essa, gli amministratori romani potevano identificare gli edifici in una determinata zona e monitorare eventuali abusi edilizi, una pratica piuttosto comune nell’Urbe. La mappa originale era composta da 151 grandi lastre marmoree, ma come molte cose a Roma, nel corso dei secoli, è stata parzialmente distrutta, smembrata e dispersa. Oggi restano 1186 frammenti della Forma Urbis Severiana, e tra quelli conservati nell’Auditorium di Mecenate ci sono pezzi che raffigurano l’Esquilino, la zona dove sorge l’edificio.
Tra questi frammenti si nota una vasta area porticata, probabilmente riconducibile al macellum della zona. È straordinario pensare che i Romani abbiano concepito e realizzato una mappa di tale grandiosità, e ancor più sorprendente è scoprire che l’Auditorium di Mecenate continui a riservarci tante sorprese e a raccontare tante storie diverse. Per me è sempre un piacere tornare qui, specialmente con i miei visitatori. Spero che anche voi ora possiate capire il motivo di questo fascino.