L’arte del Tardo Impero

L'arte del Tardo Impero

Durante l’età dei Severi, l’arte scultorea era caratterizzata dal vivace colorismo, documentata a Roma dall’Arco di Settimio Severo (imperatore dal 193 al 211), che nell’intreccio di sovrapposizioni delle figure vede applicato lo schema del fregio continuo, come ad esempio nella città di Leptis Magna, con l’Arco quadrifronte e i pilastri della basilica severiana, opera di artisti della scuola di Afrodisia.

Il magnifico sarcofago della collezione Ludovisi, decorato da una dinamica scena di battaglia, apparteneva ad Ostiliano, figlio dell’imperatore Decio, morto nel 251. Il giovane principe viene  rappresentato come trionfatore e non come combattente, circondato dagli ufficiali della guardia del corpo, secondo l’usanza orientale. Il sarcofago è opera d’artisti di rilievo, dei quali però pare non sia pervenuta altra opera.

La scultura romana del III secolo è rappresentata soprattutto da ritratti, solitamente dai tratti tesi e dolorosi, e dai sarcofagi, con figure sovraffollate e talora deformate, ma di intensa espressività e con figurazioni simboliche genericamente orientali. Nell’arco quadrifronte di Galerio a Salonicco, con scene allegoriche più che belliche, le teste dei tetrarchi (la divisione dell’impero in quattro decisa da Diocleziano) presentavano la visione stereometrica tipica del tardo-antico.

L’arte della Tarda Antichità si fonda su quella del III secolo, periodo di crisi tanto profonda, che portò alla rottura dell’identità culturale, militare, amministrativa, spirituale ed artistica dell’Impero Romano. Il periodo considerato è compreso tra la morte di Commodo, avvenuta il 31 dicembre 192, e l’ingresso di Costantino a Roma, il 29 ottobre 312. Tale periodo viene diviso in tre parti:

  • governo della dinastia dei Severi, dall’avvento di Settimio Severo, nel 193, alla morte di Alessandro Severo, nel 235;
  • governo degli imperatori militari, 235-284 (anarchia militare);
  • Diocleziano e la Tetrarchia, 284-312.

Particolarmente presenti sono le forme classicheggianti nella pittura, anche nella sorgente arte cristiana. Lo stile nell’arte tardoantica non si mostrò realmente come una novità, ma si sviluppò abbastanza linearmente dal filone dell’arte plebea e provinciale romana, cioè l’arte praticata dalle classi inferiori o periferiche dell’Impero. In concorso con particolari condizioni storiche, che videro l’ascesa al potere di personaggi provenienti sempre più frequentemente dalle province e con l’innesto su queste esperienze delle concezioni barbariche, si arrivò a un totale superamento della maniera ellenistica che all’epoca di Diocleziano o Costantino era, ormai, svuotata del suo contenuto originario.

All’inizio del III secolo il graduale allontanamento dagli stilemi dell’arte greca (leggi della prospettiva, del colore, delle proporzioni, dell’equilibrio organico naturalistico e della coesione formale delle figure) coincise con un abbandono vero e proprio, realizzatosi nel giro di poco meno di cento anni. Sicuramente pesarono nella svolta la situazione politica, economica e sociale, che nei momenti di difficoltà portava le persone al bisogno di evasione e distacco, concretizzatosi nello slittamento verso l’irrazionale, come confermato anche dalle nuove forme di spiritualità che si diffusero in quel periodo. A ciò va aggiunta la scalata al potere di nuove classi legate all’esercito e alle province rurali, che non si riconoscevano nelle manifestazioni artistiche della vecchia aristocrazia senatoria.

Il mosaico pavimentale del III secolo subì un rinnovamento relativo al repertorio decorativo non figurato, dove si diffuse un gusto che preferiva gli intrecci e gli effetti prospettici. Da rilevare è una maggiore indipendenza del mosaico rispetto alla pittura, con l’uso di tessere di dimensioni maggiori che danno alle raffigurazioni un tocco più fortemente “impressionistico” di quanto avveniva nelle scene dipinte (che pure si stavano incanalando in una direzione stilistica analoga). Tra tutte le province dell’impero, solo quelle africane occidentali, proprio nel mosaico, svilupparono un linguaggio artistico originale in gran parte autonomo (Byzacena, Numidia e Mauretania). Qui si sviluppò, accanto alle tradizionali scene mitologiche, un repertorio peculiare, che comprendeva scene di caccia, agricoltura e altri episodi di vita reale della regione, dotate di notevole realismo. Il fiorire artistico coincise con la grande stagione della letteratura e della polemica religiosa cristiana delle province africane occidentali. Nei famosi mosaici della villa del Casale di Piazza Armerina in Sicilia lavorarono maestranze africane (e forse anche romane, come testimoniano alcuni motivi di derivazione sicuramente urbana) per un insieme di circa 3500 m2. Gli esami sulle murature hanno datato la villa e i mosaici stessi a una successione di tempi che va all’incirca dal 320 al 370.

Tra le ultime grandiose realizzazioni architettoniche costruite a Roma, figurano le Terme di Caracalla (211-217) nelle quali erano presenti i grandi mosaici con atleti e gladiatori, e le Terme di Diocleziano (284-305). Inoltre, sono da menzionare il grandioso palazzo di Diocleziano a Spalato, nonché i monumenti imperiali di Treviri (oggi Trier in Germania), come la celebre Porta Nigra.

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