Impero d’Oriente: Tra guerre e cospirazioni

Dopo la perdita di Dara nel 573 e la conseguente follia di Giustino II, nel 574 il generale Tiberio venne nominato Cesare dall’imperatore. Dopo aver operato come reggente dell’Impero per quattro anni (insieme alla moglie di Giustino, Sofia), nel 578 Tiberio venne proclamato imperatore.
Gregorio di Tours (cronista e agiografo dell’epoca) afferma che Tiberio II scampò a ben due congiure. La prima doveva essere attuata all’indomani dell’incoronazione di Tiberio. A tirare le fila della congiura c’era il generale Giustiniano, nipote dell’imperatore Giustiniano I, che avrebbe fatto uccidere Tiberio durante la prevista processione all’ippodromo di Costantinopoli. Contrariamente, Tiberio si recò invece ai santuari sacri per pregare prima di tornare al palazzo, dove venne incoronato imperatore. Fallito il piano, i congiurati si ritirarono, mentre Giustiniano raggiunse il palazzo imperiale per chiedere perdono (portando come pegno 1.500 libbre d’oro), ottenendolo.
La seconda cospirazione venne ordita questa volta dall’ex moglie di Giustino, col benestare di Giustiniano. Non riuscendo a convolare a nozze con Tiberio (che era già sposato), Sofia tentò di far assassinare l’imperatore nella sua residenza estiva e porre sul trono Giustiniano. Venuto a conoscenza di quanto stava per accadere, Tiberio tornò velocemente a Costantinopoli e fece arrestare Sofia, privandola di tutti i suoi beni e privilegi. Sostituì inoltre la servitù di Sofia con persone di sua fiducia. Giustiniano, invece, riottenne ancora una volta il perdono dell’imperatore.
Come sovrano, Tiberio perseguì una politica di consolidamento all’interno. Di animo generoso, Tiberio intuì che il benessere dell’impero fosse consequenziale al benessere della popolazione: per questo motivo diminuì le tasse ed elargì gran parte dei tesori ammassati di Giustino alla popolazione.
Per ciò che concerne la politica estera, Tiberio cercò di rimediare ai danni provocati dal suo predecessore. Tentò quindi in prima battuta di porre fine alla guerra contro la Persia, proponendo allo scià Cosroe I la pace. Ciò che ottenne Tiberio fu soltanto una pace di durata triennale, non valida però per l’Armenia, dove le ostilità non cessarono.
Tiberio a quel punto nominò il generale Maurizio magister militum per orientem (comandante supremo dell’esercito) per continuare la guerra contro la Persia Sasanide. Maurizio ottenne subito diversi successi, occupando l’Arzanene, spingendo Cosroe ad aprire di nuovo le negoziazioni di pace. Le trattative tra i due imperi vennero però interrotte a causa della morte di quest’ultimo, in quanto il suo successore Ormisda IV preferì portare avanti il conflitto. Maurizio mostrò nuovamente le sue qualità da generale, sconfiggendo i Sasanidi nell’importante battaglia di Costantina. Per celebrare la vittoria, Tiberio concesse a Maurizio il trionfo. Nelle vie principali di Costantinopoli vennero addirittura fatti sfilare venti elefanti catturati durante le battaglie contro i Persiani.
Oltre ai Persiani, i Bizantini erano ancora in conflitto con gli Slavi e gli Avari nei Balcani. Non potendo sostenere una guerra contro di essi, Tiberio cercò di promuovere la pace con gli Avari versando un sussidio annuale e di allearsi con essi in funzione anti-slava. Gli Avari non solo non accettarono le proposte di Tiberio, ma cinsero d’assedio Sirmio (nella Pannonia), conquistandola nel 581-582 dopo due anni di assedio. Gli Slavi, invece, dal 581 attaccarono i Balcani, sottraendo diversi territori all’Impero bizantino.
Tiberio cercò di fare qualcosa anche per l’Occidente, abbandonato dalla politica del suo predecessore. Nonostante non possedesse molti mezzi (le finanze e l’esercito bizantino furono impiegate principalmente contro i Persiani), Tiberio tentò comunque di attaccare i Longobardi in Italia. Per questo motivo inviò un contingente comandato da Baduario, genero di Giustino. Le truppe di Baduario vennero però annientate e Tiberio non poté riorganizzare nuove spedizioni in Italia (nonostante la richiesta di aiuti da parte del Senato romano). Nonostante ciò, nel 580 Tiberio riorganizzò quello che rimaneva dei territori bizantini in Italia, dividendoli in cinque province o eparchie: Annonaria, Calabria, Campania, Emilia, Urbicaria.
Nel 582 Tiberio si ammalò gravemente. Capendo che i suoi giorni volgevano al termine, l’imperatore nominò due eredi: Maurizio e Germano. Con ogni probabilità l’intento era quello di dividere l’Impero in due parti, ma tale progetto non si realizzò mai. Maurizio venne nominato come successore un giorno prima della morte di Tiberio, che gli concesse la mano di sua figlia Costantina.
Divenuto imperatore il 13 agosto del 582, Maurizio ereditò una situazione molto difficile. L’Impero si trovava in una situazione economica molto complicata ed era assediato su più fronti.
Per l’Occidente, dove il pericolo era meno grave, l’imperatore adottò una politica di pace e di difesa. Col re dei Visigoti Recaredo I concluse infatti un trattato che garantiva l’incolumità dei possessi bizantini in Spagna.
Intuendo che Costantinopoli non potesse più portare aiuti all’Occidente, Maurizio decise di costituire gli Esarcati, una sorta di vicereami governati da un esarca (viceré nominati dall’imperatore) con autorità sia civile che militare, con lo scopo di rendere i territori d’Occidente autonomi e in grado di difendersi senza l’aiuto militare di Costantinopoli, cercando, laddove possibile, l’alleanza con i Franchi in funzione anti-longobarda.
Per ciò che riguarda l’Oriente, Maurizio continuò per circa altri dieci anni le campagne militari contro i Persiani. Dopo diverse battaglie ed episodi controversi (tra cui anche l’ammutinamento delle truppe bizantine nel 588 in seguito alla volontà di Maurizio di un quarto dei salari), i Bizantini ottennero la vittoria decisiva nel 591, quando approfittarono di una guerra civile all’interno dell’Impero sasanide. Dopo che le truppe bizantine ebbero aiutato lo scià Cosroe II a rovesciare l’usurpatore Bahram VI, Costantinopoli ricevette in cambio come segno di gratitudine la Mesopotamia nordorientale (che comprendeva anche la città di Dara), l’Armenia fino alla capitale Dvin e la zona del Lago di Van e la Iberia (Georgia orientale) fino alla capitale Tbilisi.

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Archiviata la pratica persiana, Maurizio dovette impiegare le sue truppe nei Balcani, dove gli Avari e gli Slavi si stavano facendo sempre più minacciosi. Gli Slavi, addirittura, riuscirono ad arrivare fino a Tessalonica. Dopo diverse battaglie (complessivamente favorevoli ai Bizantini) e l’attacco degli Anti contro gli Avari (causandone il loro indebolimento), nel 602 i Bizantini riuscirono a riportare il limes di nuovo sul Danubio. Maurizio, a quel punto, si pose l’obiettivo di ripopolare quelle zone saccheggiate inviando coloni armeni. Inoltre, ordinò che le truppe svernassero sulle posizioni conquistate oltre Danubio. Ciò provocò il malcontento dell’esercito. Oltre a questo, si aggiunse anche la decisione di ridurre gli stipendi dei soldati, che provocò un’autentica rivolta. A capo della ribellione c’era Foca, centurione dell’esercito.
Foca approfittò dell’impopolarità di Maurizio anche agli occhi della popolazione, esasperata per il nuovo aumento delle tasse. Addirittura, nel 600, l’imperatore si rifiutò di pagare il riscatto di numerosi prigionieri, che furono così uccisi, attirandosi già d’allora l’ostilità dei soldati.
Alla guida di un corposo contingente armato, Foca marciò verso la capitale dell’Impero. Sebbene le mura di Costantinopoli fossero pressoché inespugnabili, Foca sfruttò il malcontento della popolazione. L’esercito intimò a Maurizio di abbandonare il trono, lasciandolo a suo figlio Teodosio o a Germano, suocero di questo. Maurizio non cedette il passo e ordinò di arrestare Germano, accusandolo di aver collaborato coi ribelli e di aver tradito l’Impero. La popolazione impedì l’arresto di Germano e, una volta che la ribellione si diffuse in tutta Costantinopoli, Maurizio e la sua famiglia fuggirono via nave. A causa del maltempo fu costretto a sbarcare a Calcedonia, sempre nei pressi di Bisanzio. A quel punto chiese al figlio Teodosio di chiedere aiuto a Cosroe II per riprendere il trono, in quanto l’alleato persiano fu aiutato in passato proprio da Maurizio.
Foca nel frattempo si autoproclamò imperatore (602), ricevendo l’appoggio del popolo, acclamandolo come liberatore. Maurizio però rimaneva ancora in vita e si stava riorganizzando. Foca a quel punto inviò dei sicari a Calcedonia. Arrestato e condotto insieme a cinque dei suoi figli fuori dal santuario in cui stava pregando, vide uno dopo l’altro i suoi eredi cadere sotto i colpi di spada dei boia, prima di essere lui stesso ucciso. Ben presto la fama di liberatore di Foca venne meno. Le fonti bizantine affermano infatti che instaurò un vero e proprio regime tirannico.