L’invasione longobarda dell’Italia

La cosiddetta Guerra greco-gotica durò quasi vent’anni, dal 535 al 553; ma i suoi strascichi proseguirono fino al 562, perché i Franchi avevano approfittato della situazione per invadere l’Italia settentrionale, e dopo aver sconfitto i Goti le truppe imperiali dovettero combattere anche loro.

La guerra, accompagnata da carestie ed epidemie, provocò spaventose devastazioni; molte città, fra cui Roma, Milano, Ravenna, vennero più volte assediate, prese, saccheggiate. Alla fine, l’Italia riconquistata e pacificata dai generali di Giustiniano era un paese spopolato e in rovina, la sua economia un tempo florida era distrutta, la popolazione della città di Roma era stata sterminata, e il millenario senato romano aveva cessato di esistere. Si può ben dire che non furono le invasioni barbariche in sé, ma la riconquista romana del VI secolo a mettere fine alla grandezza dell’antica Roma.

Il ristabilito dominio romano sulla penisola durò pochissimo. Già nel 568 un nuovo popolo barbaro di lingua germanica, quello dei Longobardi, guidato dal re Alboino, scendeva in Italia dal Nord-est e occupava rapidamente tutta la Pianura Padana. I Longobardi erano stabiliti da tempo in un’altra ex provincia dell’impero, la Pannonia, cioè l’attuale Ungheria, dove erano venuti a contatto col mondo romano e in parte si erano convertiti al cristianesimo ariano; ma nel complesso erano forse il più arretrato e primitivo fra i diversi protagonisti delle grandi migrazioni. È un paradosso che proprio in Italia, che era stata la culla e il centro della romanità, si sia stabilito un popolo così poco evoluto; ma la guerra greco-gotica aveva devastato la penisola a tal punto che in molte zone della civiltà antica rimanevano soltanto avanzi.

I domini longobardi al termine del Periodo dei Duchi (584). Di Castagna – Opera propria basata su:Diacono, Paolo (1992) “Mappa 3” in Capo, Lidia , ed. (italiano) Storia dei Longobardi, Milano: Mondadori, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7042496

È possibile che la venuta dei Longobardi in Italia non sia stata una vera e propria invasione, ma sia stata preceduta da negoziati con le autorità bizantine: gli archeologi infatti non ritrovano nessuna traccia rivelatrice di distruzioni o incendi nelle città italiche al momento della loro discesa, e secondo alcuni studiosi questa è la prova che la conquista non fu violenta. In ogni caso è certo che diversi vescovi cattolici, compreso l’arcivescovo di Milano, preferirono fuggire prima dell’arrivo dei Longobardi, e forse fecero bene; perché il re Alboino venne assassinato nel 572, in una congiura in cui era coinvolta anche la moglie Rosmunda, e alla sua morte seguì un periodo di guerre civili fra i capi dei diversi raggruppamenti longobardi, i duchi, accompagnato da massacri e confische. Lo stanziamento longobardo diede quindi il colpo di grazia a quel che restava dell’aristocrazia romana nell’Italia settentrionale e alla già dissestata economia della regione.

Solo nel 584 si ricostituì un regno sostanzialmente unitario, con l’elezione a re di Autari, che seppe imporre l’autorità regia ai duchi recalcitranti. Si chiude così definitivamente l’epoca delle invasioni barbariche e nasce l’ultimo dei regni romano-barbarici. I re longobardi stabilirono la propria residenza, a seconda dei momenti, a Pavia, Monza o Milano; i duchi divennero capi di entità territoriali subordinate al re, e dovettero cedergli gran parte delle terre confiscate al momento dell’invasione. Dalla Pianura Padana i Longobardi avanzarono poi verso l’Italia centrale e meridionale, stabilendo dei duchi in Toscana, a Spoleto e a Benevento. Questi ultimi due ducati furono spesso abbastanza autonomi rispetto al regno, ed erano molto più ampi di quel che si potrebbe pensare dal loro nome: il ducato di Spoleto si estendeva fra Umbria, Marche, Abruzzo e Lazio; il ducato di Benevento comprendeva l’intera Italia meridionale longobarda, e quindi gran parte della Campania con l’importante città di Salerno, la Basilicata, il Nord della Calabria, e la Puglia fino a Brindisi.

Nonostante il rafforzamento del re, che era ora senza discussione il più grande proprietario terriero del regno e poteva dotare largamente di terre i suoi fedeli, la feroce concorrenza fra i duchi per impadronirsi della corona regia rimase sempre un motivo di debolezza del regno longobardo. Un altro perdurante problema fu il rapporto conflittuale con i territori rimasti sotto il controllo di Costantinopoli. All’inizio erano territori molto vasti, e comprendevano in pratica tutte le zone d’Italia che potevano essere rifornite e difese dal mare: la Liguria; il cosiddetto Esarcato, cioè parte dell’attuale Emilia e Romagna, con capitale a Ravenna; la Pentapoli, cioè la costa romagnola e marchigiana con parte dell’entroterra di Marche e Umbria; il ducato di Roma, comprendente gran parte dell’attuale Lazio; il ducato di Napoli, che controllava gran parte della costiera campana; il Sud della Puglia e della Calabria, e le isole. Col tempo, però, i re longobardi si impadronirono di gran parte di questi territori: in Puglia, per esempio, solo l’estremo Sud, il Salento, rimase sotto il controllo di Costantinopoli; fra tutte le regioni italiane solo Sicilia, Sardegna e Corsica rimasero completamente al di fuori del regno longobardo e ancora sotto il governo degli imperatori romani d’Oriente.

School of Rubens – Alboin and Rosamunde, 1615

Ma soprattutto rimase al di fuori della dominazione dei Longobardi Roma, che continuava a far parte dell’impero romano d’Oriente; anche se in realtà a comandare sul posto era soprattutto il papa, grazie alle vastissime risorse economiche e al prestigio morale della Chiesa romana. Nonostante i re longobardi abbiano cominciato presto a portare il titolo di rex Italiae, in realtà l’Italia era per la prima volta da molti secoli governata da poteri diversi e ostili fra loro. L’unità politica della penisola e il legame organico fra Roma e il resto dell’Italia erano spezzati, e come sappiamo c’è voluto moltissimo tempo, fino all’Ottocento con il Risorgimento, per ricostituirli.

Sotto il pontificato di un grande ed energico papa, Gregorio Magno (590-604), che difese con successo l’Urbe contro i tentativi di conquista dei Longobardi, Roma e i territori circostanti cominciarono a funzionare come una specie di piccolo Stato autonomo. In ogni città del mondo cristiano, i possedimenti della Chiesa erano considerati patrimonio del santo protettore locale; il vescovo non era il padrone, ma aveva solo il compito di amministrarli a nome del santo patrono. A Roma il patrono era san Pietro e perciò i possedimenti amministrati dal papa vennero chiamati Patrimonio di san Pietro; è il primo nucleo di quello che diventerà lo Stato della Chiesa, o Stato pontificio.

Più tardi, nell’VIII o nel IX secolo, qualcuno a Roma fabbricò la cosiddetta Donazione di Costantino, un documento con cui l’imperatore Costantino regalava al papa la città di Roma, l’Italia e addirittura tutto l’impero. Il falso venne prodotto proprio per legittimare il potere territoriale del papa, ed ebbe grandissimo successo: per molti secoli la Donazione fu creduta autentica, e solo nel Quattrocento, in pieno Rinascimento, il filologo Lorenzo Valla dimostrò che era un falso.

Sotto il pontificato di Gregorio Magno si ebbe l’avvicinamento dei popoli barbari alla fede cattolica. I Longobardi iniziarono ad abbandonare l’arianesimo grazie all’influenza della regina Teodolinda, appartenente alla popolazione cattolica dei Bavari, e moglie successivamente dei re Autari e Agilulfo (che regnarono uno dopo l’altro dal 589 al 616); il passaggio al cattolicesimo dell’intera popolazione longobarda fu però lento e richiese circa un secolo. I Visigoti di Spagna ebbero per la prima volta un re cattolico, Recaredo (586-601), anche se una parte del popolo goto rimase ancora a lungo fedele all’arianesimo. Gregorio Magno spedì infine un missionario, Agostino, a convertire gli Angli e i Sassoni, che si erano impadroniti della Britannia ed erano ancora pagani. La missione ebbe successo e la conversione dell’isola al cristianesimo cattolico procedette rapidamente; Agostino divenne il primo arcivescovo di Canterbury, la diocesi che da allora è sempre rimasta a capo della Chiesa d’Inghilterra. (La nostra Storia)

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