Il termine “età arcaica” si riferisce a un periodo significativo nella storia dell’antica Roma, che va dalle prime comunità preistoriche fino al 509 a.C. Quest’anno segna la fine del regno dell’ultimo re romano, Tarquinio il Superbo, e l’inizio della Repubblica Romana.
Tra l’VIII e il IV secolo a.C., le prime espressioni artistiche romane consistevano principalmente in oggetti importati da officine della Campania e, in misura maggiore, dagli Etruschi. È documentato anche l’arrivo di opere dalla Grecia, anche se in numero limitato, come testimonia la statua lignea della divinità greca Phoibe, venerata nel tempio di Diana sull’Aventino. La conoscenza di questo sito è garantita dalla Forma Urbis Severiana, un dettagliato piano in marmo di Roma risalente al regno di Settimio Severo.
La prima opera chiaramente attribuibile a un artista romano risale alla fine del IV secolo a.C. e agli inizi del III secolo a.C.: si tratta della Cista Ficoroni, un elegante cofanetto portagioielli cilindrico, adornato con tre sculture raffiguranti scene del mito degli Argonauti, e finemente decorato. Questo pezzo è oggi esposto al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.
Le Mura serviane e la Cloaca Maxima rappresentano due delle principali realizzazioni architettoniche dell’età arcaica romana, simboli della tecnica e dell’estetica di quel periodo.
Le Mura serviane, costruite nel VI secolo a.C., sono attribuite inizialmente a Tarquinio Prisco, quinto re di Roma, e vennero completate e estese dal suo successore Servio Tullio, da cui presero il nome. Prima dell’edificazione di queste fortificazioni, la difesa della città si basava principalmente sulla resistenza delle comunità che abitavano i colli circostanti il Palatino, il fulcro urbano di Roma. Originariamente, la protezione di Roma non dipendeva da un unico corpo militare organizzato, ma piuttosto dal coraggio e dalla forza di piccoli gruppi che difendevano ciascun colle da eventuali invasori.
Secondo quanto descritto da Tito Livio, a un imponente terrapieno realizzato nelle aree più vulnerabili, che univa le difese isolate dei vari colli, Servio Tullio aggiunse una muraglia lunga circa 7 km, costruita con massicci blocchi di tufo. Furono inoltre realizzate numerose porte per facilitare il collegamento tra le diverse parti della città e i colli adiacenti. Tra le porte più rilevanti si ricordano la Mugonia per il Palatino, la Saturnia per il Campidoglio, la Collina per il Quirinale, la Viminalis per il Viminale e la Celimontana e la Querquetulana per il Celio. Oggi, la maggior parte di queste porte non è più visibile, tranne la Porta Celimontana e la Porta Esquilina.
Le Mura serviane continuarono a proteggere Roma fino al 390 a.C., anno in cui i Galli riuscirono a invadere e saccheggiare la città. Le mura furono successivamente ricostruite nel 378 a.C., estendendosi per circa 11 km e circondando un’area di circa 426 ettari.
Un caso particolare è rappresentato dal Capitolium, o Campidoglio, che già prima della costruzione della cinta muraria del VI secolo a.C. e prima di essere incorporato nell’area urbana, possedeva difese praticamente autonome. Entrambe le alture del colle, l’Arx — oggi sede dell’Altare della Patria e della basilica di Santa Maria in Aracoeli — e il Capitolium sul lato opposto della moderna Piazza del Campidoglio, erano fortificate da mura proprie. Alcuni frammenti di queste antiche fortificazioni sono ancora visibili, come quelli nel giardino tra l’Aracoeli e la scalinata posteriore del Vittoriano.
Le tracce delle Mura serviane possono essere ancora osservate in diverse aree di Roma, tra cui Piazza dei Cinquecento (di fronte alla Stazione Termini), via Salandra, via Carlo Alberto, Largo Leopardi, Piazza di Porta Capena, Largo Magnanapoli e Piazza Albania.
Un altro notevole esempio di ingegneria architettonica dell’età arcaica romana è la Cloaca Maxima. Realizzata nel VI secolo a.C., questa struttura è probabilmente la più antica condotta fognaria ancora funzionante al mondo. I Romani costruirono la Cloaca Maxima per drenare le paludi e gli acquitrini insalubri che circondavano Roma, incanalando le acque verso il Tevere. Le fonti storiche come Livio e Plinio raccontano delle estreme difficoltà incontrate dagli operai durante la costruzione, che inclusero tentativi di fuga e suicidi, tanto che Tarquinio il Superbo istituì delle forche sul sito di lavoro come misura deterrente.
La Cloaca Maxima fu essenziale per bonificare le zone del Foro Romano, del Circo Massimo e della Suburra, integrando i collettori di scarico dal Velabro. Originariamente progettata come canale a cielo aperto, nel II secolo a.C. fu coperta e completamente interrata. Nel XIX secolo, fu integrata nella rete fognaria moderna di Roma.
Oggi, è possibile visitare alcuni tratti della Cloaca Maxima: uno inizia vicino al Foro di Nerva, presso la Tor de’ Conti, reso accessibile dal 1889. Un altro segmento accessibile si trova nell’area del Foro Boario, vicino all’Arco di Giano e alla Chiesa di San Giorgio al Velabro, dove le acque seguono ancora l’antico condotto prima di essere deviate in un sistema fognario moderno. Il resto del percorso rimane ostruito e inaccessibile. È ancora visibile anche la bocca originale della Cloaca Maxima presso il Ponte Palatino, vicino ai resti del Ponte Rotto, sulla sponda sinistra del Tevere.