Tutte le principali civiltà antiche hanno creato grandi biblioteche nelle loro città, accumulando vasti quantitativi di testi provenienti dall’intero mondo allora conosciuto, e Roma non era un’eccezione. A Roma, la presenza di una biblioteca era vista come un simbolo di prestigio e sapere.
Scipione l’Emiliano, tribuno militare e console nella seconda metà del II secolo a.C., fu probabilmente il primo a introdurre e promuovere la cultura greca tra l’aristocrazia romana. Divenuto erede della biblioteca reale macedone grazie a suo padre Lucio Emilio Paolo, Scipione facilitò la diffusione di opere greche, rendendole accessibili agli intellettuali latini suoi contemporanei e amici. Si ritiene che l’origine di questa biblioteca risalga a Re Archelao I di Macedonia nel V secolo a.C., noto per aver accolto alla sua corte eminenti scrittori ateniesi come Euripide.
Anche Ennio, il primo poeta e drammaturgo a valorizzare il latino come lingua letteraria al pari del greco, fu uno dei beneficiari dei testi raccolti da Scipione.
Nelle biblioteche pubbliche romane, i testi erano accuratamente confrontati, corretti e completati se incompleti o mal tradotti, organizzati sugli scaffali e, talvolta, curati per la pubblicazione.
Le biblioteche pubbliche erano generalmente costituite da una o più ampie sale arricchite da tavoli per la lettura, dove i libri, sotto forma di rotoli di pergamena avvolti attorno a un’asticella di legno e legati con un cordoncino, venivano conservati in appositi scaffali collocati all’interno di armadi lungo le pareti. In alcune di queste biblioteche, i lettori potevano prelevare i libri direttamente dagli scaffali, mentre in altre era presente una figura professionale, denominata da Lucio Apuleio Madaurense come Promus librorum, che si occupava della consegna dei volumi richiesti. La supervisione era affidata a un direttore, chiamato Procurator. Per agevolare la ricerca, i libri erano catalogati e ordinati alfabeticamente, suddivisi tra prosatori e poeti. Si sa che le biblioteche situate nel Foro di Traiano disponevano di scaffali numerati, un orario di apertura definito e un sistema di giuramento per prevenire i furti.
Le visite in biblioteca avvenivano prevalentemente di mattina per sfruttare la luce naturale per la lettura. Il fulcro della biblioteca era il libro stesso, originariamente costituito da tavolette di cera o da fogli di pergamena cuciti insieme a formare quaderni, talvolta redatti in officine scrittorie interne sia a biblioteche private che pubbliche. Per proteggere i libri dall’umidità, i Romani idearono intercapedini tra i muri delle stanze interne.
La biblioteca di Lucio Cornelio Silla si formò principalmente attraverso i bottini di guerra. Questa collezione, originariamente appartenente al politico e collezionista d’arte greco Apelliconte di Teo, fu acquisita da Silla dopo la caduta di Atene durante la prima guerra contro Mitridate nel 86 a.C. e la successiva morte di Apelliconte. Questa preziosa raccolta includeva manoscritti originali di Aristotele e del suo discepolo Teofrasto.
Dopo la morte di Silla, la biblioteca passò al figlio Fausto, che ne curò personalmente la conservazione. Nonostante gli sforzi, molti libri si deteriorarono nel tempo, ma fortunatamente Fausto collaborò con Tirannione di Amisos, un grammatico greco esperto nella manutenzione e organizzazione di libri, che restaurò e preservò la collezione.
Con la morte di Fausto nel 46 a.C. durante i conflitti in Mauritania tra cesariani e pompeiani, parte della collezione fu integrata nella biblioteca di Cicerone. Le risorse bibliotecarie di Roma continuarono ad arricchirsi nel I secolo a.C., spesso tramite bottini acquisiti durante conflitti in Grecia e Asia Minore.
Anche la biblioteca di Licinio Lucullo nacque dal bottino delle sue vittoriose campagne militari in Asia Minore settentrionale. Lucullo, noto sia come generale che come uomo di cultura e collezionista, trascorreva il suo tempo libero in dialogo con eruditi su tematiche filosofiche, spesso nella sua villa vicino al Pincio. Oltre a questa, possedeva altre residenze provinciali, ciascuna con una biblioteca ben fornita, rendendo accessibili le sue collezioni a familiari, amici e letterati greci.
Dopo la morte di Lucullo nel 56 a.C., le sue vaste collezioni furono ereditate dal figlio.
Un’altra notevole biblioteca privata era quella di Tito Pomponio Attico, un influente scrittore, mecenate, finanziere e consigliere di eminenti personalità del suo tempo. Nella sua villa sul Quirinale, Attico custodiva una biblioteca riccamente fornita, nota per essere stata messa a disposizione per il prestito e la copia dei libri. Anche Cicerone, grande amico di Attico, frequentava la sua residenza per accedere a volumi rari.
Attico utilizzava i suoi mezzi economici per supportare l’industria culturale, organizzando eventi e banchetti che trasformavano la sua villa in un vivace centro di cultura. Nonostante Attico fosse un autore prolifico, purtroppo non ci sono pervenute opere a suo nome.
A Roma, anche il celebre scrittore e politico Polibio possedeva una straordinaria biblioteca. Nato in Grecia, Polibio concluse la sua carriera politica nel 168 a.C. dopo la battaglia di Pidna, risultato della quale fu la sua cattura e trasferimento a Roma. Lì, grazie alla sua vasta erudizione, venne accolto nei circoli più esclusivi, stringendo amicizia con personalità come Scipione.
Durante il suo soggiorno a Roma, Polibio proseguì la sua attività letteraria in greco, mirando a spiegare ai suoi connazionali come Roma fosse rapidamente ascesa a grande potenza economica e militare, e allo stesso tempo cercando di ingraziarsi i Romani. Sappiamo anche che Polibio si dedicò alla copia di numerosi testi di Scipione e che i suoi viaggi lo portarono a raccogliere opere importanti, come una copia della storia di Timeo durante un soggiorno ad Atene.
Come osservato, non tutte le biblioteche private erano il risultato di bottini di guerra. Le collezioni di Cicerone e, ancor di più, quelle di Attico furono costruite gradualmente, alimentate da un profondo amore per la lettura e la conoscenza. Marco Terenzio Varrone, nativo di Rieti, rappresenta un altro esempio di questa categoria. Varrone, durante il suo soggiorno a Roma, perfezionò i suoi studi sotto la guida dei migliori maestri dell’epoca, tra cui Lucio Elio Stilone Preconino, da cui apprese la grammatica e si appassionò agli studi etimologici, retorici e di linguistica e filologia con Lucio Accio. Nel 84 a.C., il suo viaggio in Grecia lo vide immerso nella filosofia, ascoltando filosofi del calibro di Antioco di Ascalona e Filone di Larissa. Secondo le fonti antiche, la biblioteca di Varrone era addirittura più vasta di quella di Attico, contenente un numero considerevole di opere di autori greci e latini e molti scritti di sua mano su vari argomenti come l’agricoltura, la lingua latina, la religione, la filosofia, la storia di Roma e la geografia, di cui purtroppo si sono perse la maggior parte delle opere, tranne alcuni frammenti sull’agricoltura.
Durante l’età repubblicana, a Roma esistevano solamente tre biblioteche pubbliche, numero che aumentò notevolmente durante l’epoca imperiale. Il primo a proporre la creazione di una biblioteca pubblica fu Giulio Cesare, che aveva in mente di costruire due biblioteche gemelle, una per i testi greci e l’altra per i latini, a testimoniare il suo apprezzamento per la letteratura greca. Cesare affidò l’organizzazione delle biblioteche a Varrone, secondo Svetonio, ma il suo assassinio nel 44 a.C. impedì la realizzazione del progetto.
La prima biblioteca pubblica romana fu inaugurata da Gaio Asinio Pollione nel 37 a.C. Pollione, appartenente a una famiglia nobile e mecenate di artisti, fu anche proconsole della provincia romana di Macedonia. La biblioteca fu situata nell’Atrio della Libertà, restaurato per commemorare la vittoria romana sui Parti nel 39 a.C. e includeva libri ottenuti come bottino di guerra, divisi in sezioni greche e latine. L’interno era adornato da una collezione di opere d’arte greche e ritratti di scrittori, e ospitava anche una statua in onore di Varrone. Nonostante non rimangano resti fisici di questa biblioteca, la sua esistenza è attestata da vari testi antichi.
Dopo l’ascesa al potere di Ottaviano Augusto, questi non solo restaurò numerosi edifici pubblici trascurati o incompleti, ma eresse anche nuove strutture, tra cui il Tempio di Apollo sul Palatino con una biblioteca pubblica adiacente. Questa biblioteca, che raccoglieva tutti i testi del diritto romano e serviva occasionalmente per le sedute del Senato, era adornata di clipei con ritratti degli scrittori più famosi e conteneva una statua di Augusto. Gestita dal grammatico Pompeo Macro, la biblioteca Palatina fu distrutta dall’incendio del 64 d.C., ma fu ricostruita per volere di Domiziano. Sfortunatamente, un secondo incendio nel 191 d.C., seguito da un altro nel 363 d.C., portò alla sua definitiva scomparsa.
Augusto eresse anche la Porticus Octaviae, una biblioteca pubblica situata nella parte meridionale del Campo Marzio, dedicata alla sorella Ottavia e al figlio Marcello. Diretta da Caio Melisso, questa struttura subì distruzioni a causa dell’incendio dell’80 d.C., ma fu poi ricostruita da Domiziano con nuove copie di testi provenienti da Alessandria d’Egitto. Anche questa biblioteca fu danneggiata durante l’epoca di Commodo, ma fu restaurata da Gordiano, che aggiunse circa 62.000 opere lasciate da Quinto Sereno Sammonico.
Infine, Tiberio inaugurò la quarta biblioteca pubblica di Roma dopo la morte di Augusto nel 14 d.C. Anche se non è chiaro se questa biblioteca fosse situata vicino al Tempio di Augusto sul Palatino o all’interno del palazzo imperiale, è certo che esistesse e che fosse molto grande, ospitando una statua di Apollo alta circa 15 metri.
Vespasiano, in seguito, eresse una biblioteca pubblica adiacente al Tempio della Pace, arricchita da opere di antiquari e grammatici latini. Questa biblioteca sopravvisse a diversi incendi fino a essere restaurata nel 357 d.C., dimostrando la resilienza e l’importanza delle strutture culturali nella Roma antica.
Nel maestoso complesso del Foro di Traiano, le biblioteche gemelle erano costruite con materiali di pregio, tra cui marmo e pietra. Le pareti erano rivestite in pavonazzetto, importato dall’Asia Minore, mentre i pavimenti erano composti da ampi rettangoli di granito grigio, intervallati da strisce di marmo giallo proveniente dal Nord Africa. Anche le colonne che sorreggevano la galleria erano realizzate in pavonazzetto, dimostrando che Traiano non lesinava su spese e materiali. Le strutture includevano sette librerie su ogni parete laterale e quattro sulla parete posteriore, totalizzando 36 librerie che ospitavano più di 10.000 volumi. Queste biblioteche erano probabilmente ancora attive nel 456 d.C., quando un oratore lodò l’imperatore di quel tempo con un panegirico, ringraziandolo per avergli donato una statua proveniente da una delle biblioteche.
Dall’epoca di Traiano in poi, si costruirono altre biblioteche pubbliche, spesso integrate nei complessi delle terme pubbliche per facilitarne l’accesso a un pubblico più ampio. Gli imperatori successivi cercarono di superarsi in generosità, costruendo terme non solo gratuite ma anche lussuosamente decorate e super attrezzate. Oltre ai servizi termali standard, questi complessi fungevano anche da centri di svago e cultura, includendo cortili per esercizi fisici e giochi, sale per riunioni o spettacoli, e naturalmente biblioteche.
Tuttavia, con l’avanzare delle minacce barbariche, gli imperatori iniziarono a spostare le loro sedi fuori da Roma, il che portò a un declino delle biblioteche pubbliche. Inoltre, con la diffusione del cristianesimo e la sua crescente radicalizzazione all’interno dell’Impero, molti testi greci e romani furono considerati pagani e eretici, portando alla distruzione di un vasto numero di libri. Entro la fine del IV secolo d.C., tutte le biblioteche di Roma erano state abbandonate, testimonianza di un periodo di grande trasformazione culturale e politica.