Il ritratto nell’età Tetrarchica

“Tutti gridavano di gioia; ormai senza più soggezione e apertamente vi mostravano a dito: «Lo vedi Diocleziano? Massimiano lo vedi? Ci sono tutti e due! Stanno insieme! Come siedono vicino! Con quanta cordialità parlano! Come passano veloci!».”
Panegirico Latino, III (XI), 11, 1-5
Nel corso del III secolo d.C. sembra fosse sparita quell’esigenza di ritratti che aveva caratterizzato gli ultimi decenni della Repubblica e i primi secoli dell’Impero. Statue onorarie e ritratti funerari diminuirono, manifestando l’immobilità sociale tipica dell’età tardoantica, e in particolare della società costruita dalla Tetrarchia. Solo nel IV secolo d.C. il bisogno ricominciò a crescere, con l’aumento di sculture di alti dignitari statali.
L’arte, che come sempre cerca di cogliere i mutamenti della cultura che la produce, ha tradotto i cambiamenti sociali determinati dall’affermazione del Dominato e della Tetrarchia, certamente influenzata anche se in maniera del tutto spontanea e autonoma.
IL RITRATTO DELL’ETÀ TARDOANTICA
La ritrattistica del III-IV secolo d.C. tradusse in immagini le caratteristiche di quella società civile rigida e immobilizzata che la produceva. Una società nella quale non esisteva spazio per la mutabile individualità, al contrario, vigeva la ricerca di elementi sicuri e inalterabili, esposti tramite una comunicazione d’impatto, capace di evocare immediatamente emozioni intense.
La società civile e l’amministrazione tetrarchica rispondono a questo ideale di semplificazione e stabilizzazione attraverso l’uniformità. Il cittadino non aveva più la possibilità di un’autonoma crescita, di poter salire la scala gerarchica, e veniva ritratto come elemento di una massa uniforme.
Nella ritrattistica tardoantica la persona venne ridotta a personaggio indistinto all’interno di un gruppo rigido e uniforme, ritratto con una prospettiva frontale e ribaltata, dato che nessun personaggio viene mai raffigurato di spalle. E nei volti spiccano gli occhi grandi, aperti in un’espressione patetica e rivolta verso qualcosa d’immateriale, lontano dal mondo terreno.

Busto maschile databile al III-IV secolo d.C., Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga (di Sailko – Own work, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=75062981).
Il ritratto, che fino ad allora era stato naturalistico (tipico dell’età classica), divenne standardizzato: le figure umane ebbero tutte la stessa altezza (isocefalia) e i visi non ebbero più caratteristiche fisionomiche. Le espressioni del viso infatti, sono severe e distaccate, concentrate su qualcosa d’invisibile, dall’ordine pubblico alla contemplazione religiosa.
L’idea di bellezza che si affermò nel III secolo d.C. infatti, non era più quella del Canone di Policleto1, basata sull’armonia delle proporzioni del corpo umano, ma quella imperniata sull’anima che si manifesta nelle espressioni del corpo. La bellezza esteriore divenne funzionale a esprimere la bellezza interiore.
Tutto ciò che era concreto perse importanza, in favore di ciò che era immateriale, spirituale, emblematico. Ogni dettaglio veniva caricato di un significato simbolico e/o allegorico. Ad esempio, durante un trionfo l’imperatore veniva festeggiato come vincitore assoluto, e non come vincitore di una determinata guerra storica.
Così nell’arte furono abbandonati l’equilibrio classico e l’organicità delle forme, per cercare la semplicità attraverso una riproduzione concentrata su piccoli dettagli caratterizzanti. Il ritratto non mirava più a mostrare soltanto i dettagli della fisicità della persona, ma aspirava a far emergere e trasmettere la personalità e i sentimenti dell’individuo.
Le espressioni vennero cristallizzate in maschere dai contorni regolari e precisi, nel tentativo di mostrare l’animo dei personaggi. Il concetto è stato espresso con chiarezza nel ritratto di Galerio della fine III secolo d.C, proveniente da Felix Romuliana, l’attuale Gamzigrad in Serbia.
In questo busto, gli elementi del volto del tetrarca sono disposti in modo geometrico e simmetrico lungo un immaginario asse del volto piatto, il pesante diadema sembra dividere nettamente il viso dai capelli, le rughe sono pieghe severe modellate meccanicamente. Mentre sono totalmente assenti le imperfezioni del volto umano, che secondo i canoni del classicismo erano caratteristiche fisionomiche.

Ritratto di Galerio (III secolo d.C.) in porfido (di Shinjirod – Own work, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4116605).
Tipica dell’arte tardoantica è la prospettiva gerarchica: le grandi composizioni spaziali non prevedevano più zone vuote, ma elementi che sembrano ripetersi all’infinito, identici, organizzati attorno a una figura centrale, che in qualità di soggetto della scena è in proporzione più grande.
L’unica differenziazione tra i personaggi infatti, avvenne sul piano delle proporzioni ormai gerarchizzate: la grandezza divenne un parametro legato al ruolo del personaggio in una scala sociale rigida e cristallizzata. Per questo motivo l’imperatore veniva raffigurato più grande di tutti i personaggi presenti nella scena. Un esempio di questa pratica è la base dell’obelisco di Teodosio I a Costantinopoli.
Sulla base dell’obelisco, eretto alla fine del IV secolo d.C. per decorare il circo di Costantinopoli, compaiono scene da circo disposte su due registri. L’imperatore Teodosio I è stato raffigurato mentre guarda una gara, riceve la sottomissione di due prigionieri barbari in rappresentanza dei loro popoli, porge la corona della vittoria all’auriga vincitore.

Faccia orientale della base dell’obelisco di Teodosio I, Istanbul (di Dennis Jarvis from Halifax, Canada – Turkey-03236, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=66987702).
Sulla faccia orientale della base si notano diversi strumenti musicali, come l’organo idraulico opera dell’ingegnere Ctesibio; mentre un’inscrizione in latino (la faccia opposta reca la stessa in greco) riporta la dedica e il motivo dell’erezione di questo monumento: la vittoria di Teodosio I sugli usurpatori Magno Clemente Massimo e il di lui figlio, Flavio Vittore.
Su ogni faccia della base, dentro una loggia del registro superiore, sono ritratti l’imperatore e la sua corte, circondati da dignitari e guardie del corpo. Sul registro inferiore invece, è stipata una folla di personaggi di rango più basso.
Dalla posizione dei personaggi nella scala gerarchica dipendono le dimensioni delle figure scolpite: i personaggi di rango inferiore sono decisamente più piccoli dei dignitari, e ovviamente dell’imperatore.
I personaggi raffigurati sono ritratti tutti frontalmente, nessuno da le spalle a chi guarda il rilievo; le folle di dignitari, guardie e personaggi inferiori sono ritratte in fila, stipati a riempire tutto lo spazio possibile, hanno tutti la stessa altezza e un volto identico, standardizzato. I gruppi di persone sono disposti simmetricamente ai lati dell’imperatore posto al centro assoluto della scena.
Il volto dell’imperatore è uno dei pochi che manifesta un accenno alle caratteristiche fisionomiche, e il suo corpo è quello più grande di tutti, per indicare il suo ruolo e il potere divino del dominus, al quale tutti si dovevano sottomettere.

Facce orientale e meridionale della base dell’obelisco di Teodosio I, Istanbul (di Dennis Jarvis from Halifax, Canada – Turkey-2995, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=67012103).
Questi rilievi riportano tutte le caratteristiche dell’arte tardoantica:
- l’isocefalia dei personaggi nelle scene di massa;
- le proporzioni gerarchiche;
- la prospettiva ribaltata-frontale;
- i volti standardizzati dei personaggi, quasi delle maschere.
LA SIMILITUDINE E LA CONCORDIA TRA I TETRARCHI
Affinché la Tetrarchia potesse avere durata ed efficienza era necessario che i quattro imperatori fossero pari fra loro. La “famiglia imperiale” costruita dalla Tetrarchia era composta da divinità il cui potere non dipendeva dal numero di legioni a disposizione, e neppure dal volere del Senato.
Diocleziano, Massimiano, Galerio e Costanzo Cloro sembravano gemelli che condividono il potere senza sopraffarsi a vicenda, poiché ognuno di loro governava con rispetto nei confronti dei propri “fratelli”. La fraternitas, questo rispetto, si fondava sulla concordia, che a sua volta si basava sulla somiglianza tra loro. Il gruppo scultoreo dei Tetrarchi è forse il monumento più emblematico della rappresentazione della fratellanza, della concordia e della similitudine tra i quattro imperatori.

Gruppo in porfido dei Tetrarchi, Piazza San Marco a Venezia.
I tetrarchi, scolpiti nel porfido rosso (simbolo della regalità per eccellenza) in un rilievo quasi a tutto tondo, vengono ritratti a coppie, un Augusto dal volto leggermente barbato e un Cesare imberbe, abbracciati l’uno all’altro, in un gesto che è la dimostrazione del concetto della Concordia Augustorum. L’abbraccio dei sovrani rappresenta, oltre alla fraternità degli imperatori, la sostanziale unità dell’Impero Romano e l’eternità del potere monarchico.
La similitudo viene invece spiegata attraverso la spersonalizzazione delle figure, che non hanno caratteristiche personali, ma lo stesso pesante abbigliamento militare (dai panneggi resi da profonde linee su zone piatte di tessuto), la stessa altezza, lo stesso volto (con gli occhi dalle pupille dilatate e le marcate rughe della fronte), nella stessa identica posa e mentre compiono un solo e unico gesto.
Lo sguardo fisso e lontano dei Tetrarchi accentua l’espressività dei loro volti e suggerisce un’immagine distaccata della maestà imperiale. I vestiti militari che indossano, l’abito con corazza originariamente decorata da foglie d’oro, il paludamentum (il mantello dei comandanti militari), il balteo (la cintura indossata dai soldati), il copricapo pannonico e la spada con l’elsa decorata da una testa d’aquila, sottolineano il loro ruolo di protettori dell’Impero.
Conosciamo due versioni del Gruppo dei Tetrarchi: una si trova in Piazza San Marco a Venezia, l’altra in Vaticano, ma entrambe provengono da Costantinopoli, dov’erano usate per decorare il circo della città2. È possibile che le statue siano state realizzate da una bottega egiziana, dato che il porfido rosso con cui è stata realizzata proveniva dall’Egitto.
I MONUMENTI E I RITRATTI DELLA TETRARCHIA
La base dei Decennalia è ciò che resta di un monumento eretto a Roma, dietro i Rostra nel Foro Romano, in occasione della commemorazione dei Ventennalia degli Augusti (Diocleziano e Massimiano) e dei Decennalia dei Cesari (Galerio e Costanzo Cloro) nel 305 d.C. Ogni anno, i tetrarchi festeggiavano insieme e sempre nello stesso luogo il dies imperii, l’anniversario della loro investitura al potere imperiale, anche se non avevano assunto quella carica nello stesso giorno.

Faccia orientale e meridionale della base dei Decennalia, Foro Romano, Roma (di Anthony M. da Rome, Italy – Flickr, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1690850).
Il monumento eretto nel dies imperii del 305 d.C. mostrava perfettamente i nuovi canoni artistici dell’arte imperiale tardoantica. Oggi ne resta solo una base, visibile nel Foro Romano, proprio di fronte all’Arco di Settimio Severo.
La base sorreggeva la colonna con in cima la statua di Costanzo Cloro, e le sue quattro facce sono tutte decorate da rilievi. La faccia rivolta a Est mostra due Vittorie che sorreggono un clipeo dov’è scritto CAESARUM DECENNALIA FELICITER, mentre nelle altre tre facce sono state raffigurate una processione di senatori, la scena della libagione dell’imperatore e quella del sacrificio celebrato da Costanzo Cloro.

Faccia settentrionale (a sinistra, di Procopius di Wikipedia in tedesco, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28056385) e faccia occidentale (a destra, di I, Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5543132) della base dei Decennalia, Foro Romano, Roma.
Nella scena della libagione, Costanzo Cloro è ritratto insieme al flamine martialis (il sacerdote di Marte), un giovane che regge un contenitore con gli oggetti rituali necessari, un flautista, un senatore, il dio Marte mentre incorona il tetrarca, e la personificazione di Roma con una corona radiata sul capo.
L’imperatore, in qualità di Pontefice Massimo, è poi ritratto col capo velato mentre celebra il sacrificio più importante e costoso di tutti: la suovetaurilia (il sacrificio di un ariete, di un maiale e di un toro).
In tutti i rilievi la resa delle figure è illusionistica: la solidità dei corpi è stata realizzata tramite solchi profondi che permettono di ottenere dei giochi di chiaroscuro. Non è una rappresentazione naturalistica e organica della realtà, ma simbolica.
Possiamo avere un’idea di come dovesse apparire l’intero monumento che onorava i Tetrarchi grazie alla raffigurazione che si trova nel rilievo dell’oratio sull’Arco di Costantino3. Il rilievo mostra che il monumento era composto da cinque colonne che sorreggevano delle statue, quella centrale raffigurava Giove, ai lati erano disposte le sculture degli Augusti e dei Cesari, i cui corpi e i ritratti erano standardizzati, a sottolineare ancora una volta la concordia e la similitudine dei tetrarchi.

Rilievo dell’oratio del fregio costantiniano dell’Arco di Costantino, Foro Romano, Roma.
Al posto del Sol Invictus, che dalla dinastia dei Severi aveva assunto un ruolo predominante nel pantheon romano, con la Tetrarchia di Diocleziano ritornò ad avere un ruolo centrale il dio Giove, e con lui il figlio Ercole. Il primo dominava il Campidoglio, col suo tempio, mentre il secondo era stato l’eroe del Palatino, celebrato nell’Ara Massima e nel tempio intitolatogli al Foro Boario.
La tolleranza religiosa, tipica della cultura romana, con la quale elementi di religioni diverse venivano assorbiti, sparì temporaneamente durante la Tetrarchia. Nel culto di Giove doveva uniformarsi l’intera società romana e consolidarsi l’Impero. Il clima d’intolleranza che ne scaturì condusse alle persecuzioni religiose, come quelle ben note contro i Cristiani.
Le trasformazioni delle immagini appena descritte riguardano però l’ambito dell’iconografia imperiale. Le immagini dei luoghi privati, quelle che decoravano le case dei Romani ad esempio, rimasero ancorate a un repertorio composto da scene di mitologia quali elementi culturali utilizzati perlopiù da un’élite conservatrice spesso legata alle tradizioni pagane.
Il ritratto degli imperatori, delle loro famiglie e dei membri di alcune famiglie patrizie, decoravano i luoghi più importanti della socialità dei Romani: i templi, i teatri, le terme, le basiliche, eccetera, con l’obiettivo di far percepire i regnanti e i magistrati vicini al popolo che dovevano governare.
Le caratteristiche dell’arte tardoantica hanno avuto un influsso potente nella successiva arte medievale e, dal momento in cui le forme dell’antichità vennero reinterpretate dalla religione cristiana, anche nell’arte paleocristiana. I volti dei ritratti tardoantichi, rivolti verso una spiritualità lontana e invisibile, spinti verso il sacro, erano i segni di una mentalità rivolta al divino e all’eternità ben recepita dal Cristianesimo.
NOTE
- Scultore proveniente da Argo, attivo nella Grecia del V secolo a.C., una delle sue opere è il famoso Doriforo. Policleto fu anche autore di un trattato teorico chiamato Canone, nel quale costruiva la figura umana ideale attraverso calcoli proporzionali, oltre a teorizzare un nuovo modello di stasi: il peso del corpo solo sul piede opposto al braccio sotto sforzo (chiasmo).
- Entrambe le sculture furono razziate dai Veneziani che saccheggiarono la città di Costantinopoli nel 1204.
- L’Arco di Costantino fu eretto e dedicato nel 315 d.C. per celebrare la vittoria di Costantino su Massenzio nella Battaglia di Ponte Milvio, a Roma, avvenuta nel 312 d.C. Tra i rilievi recuperati da monumenti di età precedente, di età costantiniana (IV secolo d.C.) sono i pannelli che compongono il “fregio costantiniano” che racconta della lotta dell’imperatore contro il rivale e cognato Massenzio.
Bibliografia
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